📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

[La Costituzione Pastorale “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” consta di due parti, ma è un tutto unitario. La Costituzione detta “Pastorale” perché, basata sui principi dottrinali, intende esporre l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli uomini d’oggi. Non manca dunque né l’intento pastorale nella prima parte, né l’intento dottrinale nella seconda. Nella prima parte la Chiesa sviluppa la sua dottrina sull’uomo, sul mondo nel quale l’uomo inserito e sul suo rapporto con queste realtà . Nella seconda considera più da vicino i diversi aspetti della vita odierna e della società umana, e precisamente in particolare le questioni e i problemi che ai nostri tempi sembrano pi urgenti in questo campo. Per cui in questa seconda parte la materia, soggetta ai principi dottrinali, consta di elementi non solo immutabili, ma anche contingenti. Perciò la Costituzione dev’essere interpretata secondo le norme generali dell’interpretazione teologica, e ciò tenendo conto, soprattutto nella sua seconda parte, delle mutevoli circostanze con le quali sono connessi, per loro natura, gli argomenti di cui si tratta].

PROEMIO

Intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana 1 Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

A chi si rivolge il Concilio 2 Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore: esso è caduto, certo, sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l'ha liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento.

A servizio dell'uomo 3 Ai nostri giorni l'umanità, presa d'ammirazione per le proprie scoperte e la propria potenza, agita però spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, e infine sul destino ultimo delle cose e degli uomini. Per questo il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società.

È l'uomo dunque, l'uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.

Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.

Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità [Cf. Gv 18,37], a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito [Cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45].

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La Costituzione Pastorale della Chiesa nel Mondo Contemporaneo è, molto probabilmente, il documento di più articolata elaborazione in tutta la storia del Concilio Vaticano II. È un testo che porta i segni di un lavoro faticoso e difficile, tanto che il documento è stato l’ultimo ad essere approvato dall’assemblea conciliare.

Tra tutti i documenti prodotti dal Concilio spicca come un unicum: mai un Concilio aveva promulgato una Costituzione Pastorale! Una totale novità che non si ferma solo al titolo, ma annuncia una novità di contenuto. Inoltre nel titolo non si legge “messaggio della Chiesa al mondo contemporaneo”, ma “la Chiesa nel mondo contemporaneo”. La Chiesa non si pone davanti al mondo ma vuole comprenderlo entrando dentro la storia dell’umanità: con questo documento il Concilio non si rivolge soltanto ai propri fedeli, ma a tutta la famiglia umana.

Un modo totalmente nuovo di essere Chiesa, non previsto all’inizio dei lavori; ecco perché il documento ebbe una fase redazionale lunga e complicata.

I temi affrontati dalla GS non sono nuovi rispetto alla dottrina della Chiesa; ciò che si presenta con carattere di novità è il modo di rappresentare detti temi ed il loro fondamento.

Infatti il Magistero della Chiesa si era già espresso su tematiche specifiche e su questioni sociali come il matrimonio, la famiglia, la guerra, la pace e la società politica con i precedenti papi, da Pio IX a Pio XII.

A titolo di esempio si può ricordare che centouno anni prima dell’emanazione della GS, Pio IX aveva scritto l’enciclica Quanta Cura in cui la Chiesa si metteva di fronte al mondo enunciando i principali errori del tempo (Sillabo). L’enciclica era carica di ansie e timori; pur non mancando la fiducia nella Provvidenza che guida la Storia verso il Bene, l’animo era quello di vedere ciò che andava male.

La teologia fondamentale preconciliare voleva dimostrare che Dio esiste ed è Creatore, che Gesù Cristo è Suo rivelatore e che i fondamenti della Chiesa derivano dalla rivelazione di Cristo e dalla capacità dell'uomo di risponderle con l'intelletto.

Si avvertiva, invece, l’esigenza di considerare una nuova prospettiva teologica nella quale l'invito di Dio all'uomo fosse visto secondo il modello biblico della «comunicazione».

La GS pone al suo centro la pienezza dell'uomo e di tutti gli uomini.

Al dualismo della Scolastica, che ha prodotto la separazione dell'uomo in mondano (natura) e religioso (sopra natura), subentra, una visione unitaria dell’uomo, umano e divino al contempo, in Cristo. Ciò conduce ad un rapporto nuovo con il mondo perché questo diverso modo di definire l'uomo è decisivo per il suo impegno nel mondo.

Nel Proemio (n. 1-3) viene sottolineato che il Concilio è rivolto a tutti gli uomini e si pone in atteggiamento di dialogo con l'intera famiglia umana.

Il punto di forza della Gaudium et Spes, usando una metafora del card. Kasper, è quello che fa di questa costituzione conciliare una vera e propria «arca di Noè»: in essa sono contenuti svariate tematiche!

https://diocesibg.it/wp-content/uploads/sites/2/2019/06/GaudiumSpes.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

CAPITOLO VI – LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA

Importanza della sacra Scrittura per la Chiesa 21 La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

Necessità di traduzioni appropriate e corrette 22 È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura. Per questo motivo, la Chiesa fin dagli inizi fece sua l'antichissima traduzione greca del Vecchio Testamento detta dei Settanta, e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri. Se, per una ragione di opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa, queste saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i cristiani.

Impegno apostolico degli studiosi 23 La sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole; perciò a ragione favorisce anche lo studio dei santi Padri d'Oriente e d'Occidente e delle sacre liturgie. Gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di sacra teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del sacro magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l'alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all'amore di Dio [Cf. PIO XII, Encicl. Divino afflante Spiritu, 30 sett. 1943: EB 551, 553, 567. PONT. COMM. BIBLICA, Instructio de S. Scriptura in Clericorum Seminariis et Religiosorum Collegiis recte docenda, 13 maggio 1950: AAS 42 (1950) pp. 495-505]. Il santo Concilio incoraggia i figli della Chiesa che coltivano le scienze bibliche, affinché, con energie sempre rinnovate, continuino fino in fondo il lavoro felicemente intrapreso con un ardore totale e secondo il senso della Chiesa [Cf. PIO XII, Encicl. Divino afflante Spiritu, 30 sett. 1943: EB 569].

Importanza della sacra Scrittura per la teologia 24 La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia [Cf. LEONE XIII, Encicl. Providentissimus Deus: EB 114; BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus Paraclitus, 15 sett. 1920: EB 483]. Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.

Si raccomanda la lettura della sacra Scrittura 25 Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé» [S. AGOSTINO, Serm. 179, 1: PL 38, 966], mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra liturgia. Parimenti il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. «L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» [S. GIROLAMO, Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17. – Cf. BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus Paraclitus: EB 475-480. PIO XII, Encicl. Divino afflante: EB 544]. Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l'approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché «quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini» [S. AMBROGIO, De officiis ministrorum, I, 20, 88: PL 16, 50]. Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica» [S. IRENEO, Adv. Haer., IV, 32, 1: PG 7, 1071; (= 49,2) HARVEY, 2, p. 255], ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e in primo luogo dei Vangeli, grazie a traduzioni dei sacri testi; queste devono essere corredate delle note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con sicurezza e profitto con le sacre Scritture e si imbevano del loro spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della sacra Scrittura fornite di idonee annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e adattate alla loro situazione; sia i pastori d'anime, sia i cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffonderle con zelo e prudenza.

Conclusione 26 In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri «la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata» (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola di Dio, che «permane in eterno» (Is 40,8; cfr. 1Pt 1,23-25).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. VI – LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA

Quest'ultimo capitolo non fa che esplicitare e raccogliere in chiave pastorale, o, con più precisione, in rapporto alla “vita della Chiesa” e con un linguaggio ricco ed intenso, quanto dagli altri capitoli è stato motivato. È un capitolo pratico, ma è pratico come pratica è la vita: è alla vita che tende l'esegesi, che a sua volta dalla vita riceve arricchimento. Giustamente il cap. VI della Dei Verbum è stato definito la “magna charta” della spiritualità e pastorale biblica della Chiesa.

La prima conseguenza pastorale è farne oggetto di lettura come testo-guida, documento base, che sta sullo sfondo della già citata nota della CEI su La Bibbia nella vita della Chiesa.

Il n. 21 presenta in certo modo la “teoria” della pratica, le ragioni fondanti e direttive dell'incontro con la Bibbia che fa il cristiano. Si articola in tre nuclei: la Scrittura, insieme con il Corpo di Cristo, è il “pane di vita” di un'unica mensa; essa è “regola suprema della fede”, che compenetra la religione cristiana in tutte le sue manifestazioni; è “sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale”.

Ne scaturiscono implicazioni pastorali notevolissime, fondamentali:

  1. La Scrittura è attivamente efficace, dona ciò che dice, a patto che non rimanga congelata nello scritto, in un libro collocato in biblioteca, ma ridiventi parola viva nel suo ambiente vitale (tradizione e comunità), sotto la forza dello Spirito, irradiando la vita personale e sociale; ambedue queste dimensioni vanno sviluppate.
  2. L'ambito dove la Scrittura irradia la maggior efficacia è laddove la Parola che ha al centro Gesù si coniuga con la presenza stessa di Gesù: l'Eucaristia, e più ampiamente i sacramenti, da sempre segni dell'incontro con Cristo. La lectio divina ha una sua caratteristica realizzazione, analogica ma efficace, nella Messa domenicale, e mantiene come momento privilegiato di contemplazione la presenza di Gesù esposto nell'adorazione eucaristica.
  3. Globalmente, il primo buon uso della Bibbia è dato dalla sua capacità di diventare spiritualità, vita interiore, mondo simbolico, motivazione, convinzione, mentalità, “cultura cristiana” di chi l'accosta.

Il num. 22 afferma una prima conseguenza del valore intrinseco appena affermato: essere a disposizione di tutti in ogni tempo. In primo luogo, sono segnalate due applicazioni notevolissime: «È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura». Con ciò viene enunciata la ragione stessa e l'obiettivo dell'apostolato biblico, che mira a mettere la Bibbia in mano a tutti, superando un passato di lontananza che si vorrebbe ricacciare definitivamente indietro, come sta capitando felicemente anche nelle nostre comunità ecclesiali. In secondo luogo si rende necessario che il Libro Sacro sia accessibile, il che avviene con buone traduzioni, anche in collaborazione ecumenica.

Due le implicazioni pastorali.

  1. Va ricordata a tutti la presenza e l'attività della Federazione Biblica Cattolica, cui anche la CEI aderisce, di cui il Settore dell'Apostolato Biblico, insieme all'Associazione Biblica Italiana, è la mediazione operativa. Analoga attenzione occorre avere per le Società Bibliche, un tempo di matrice evangelica, ma oggi in collaborazione preziosa con la Chiesa cattolica.
  2. L'apostolato biblico deve estendersi sempre di più nelle nostre comunità e il popolo di Dio deve scoprire la Bibbia come libro di vita; deve averne una copia in casa, abituarsi ad averla in mano, a sfogliarne le pagine, a leggerla come parola di Dio. Quindi è compito dell'apostolato biblico, ma non solo, diffondere delle buone Bibbie a prezzo minimo, magari nel contesto dell'iniziazione cristiana, la quale è anche iniziazione alla Bibbia. Diffondere Bibbie sì, ma insieme insegnare a leggerle da cristiani, nell'orizzonte della fede della Chiesa.

I nn. 23-26 esplicitano altre indicazioni riguardanti gli operatori biblici: esegeti, teologi, pastori.

Agli esegeti tocca lo studio del testo, con l'ausilio delle diverse scienze bibliche, che aiutano a penetrare sempre di più la Parola (n. 23).

Ai teologi, nello studio della teologia, la Bibbia si propone come fondamento, forza che la ringiovanisce, anima che porta la vita (n. 24).

Ai pastori si rivolge inizialmente il n. 25, con la scelta di una frase di san Girolamo, precisa ed eloquente: «L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». Ma ben presto l'esortazione a «essere attaccati alle Scritture» si estende a tutti i fedeli, su misura dei compiti di ciascuno. In particolare in questo n. 25 si incontra, in prospettiva propriamente pastorale, una breve, densa sintesi di apostolato biblico, con esplicito accenno alle varie espressioni di frequentazione della Parola, segnalando in particolare la centralità della lectio divina, qui definita come “pia lettura”.

Si parla di presenza della Bibbia nella liturgia, di momenti di iniziazione, di sussidi, ecc. Preme sottolineare come sia soprattutto sollecitata l'attenzione su quattro poli.

  1. La frequentazione assidua: il “contatto continuo”, la “sacra lettura assidua”, lo “studio accurato”, la “frequente lettura”, ecc. Va superata l'episodicità, la disarticolazione rispetto ai ritmi della vita spirituale ed ecclesiale.
  2. L'intenzione di fede, per cui nelle parole del testo si incontra Dio («ascoltiamo lui, quando leggiamo gli oracoli divini»), e dunque la necessità della interiorizzazione personale, il riferimento alla liturgia, in una parola il clima di preghiera «affinché possa svolgersi il dialogo fra Dio e l'uomo». Questo vale in particolare per chi propone la Bibbia agli altri e si dispone ad aiutarli nel cammino della lettura. Qui entrano in considerazione le tantissime modalità ed attività di apostolato biblico ben conosciute, cui richiamano gli orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia al n. 49, che a loro volta rimandano alla nota della CEI, La Bibbia nella vita della Chiesa, del 1995.
  3. La parola di Dio vuol essere “pane di vita”. Significa che l'incontro biblico si fa maturo non quando si ferma in appropriazioni tanto devote quanto intime, ma quando porta ad una lettura sapienziale del testo sacro, cioè a una lettura per la trasformazione della vita, ove si esercita il discernimento cristiano dei segni dei tempi e si diventa testimoni ad alta voce della Parola letta e detta silenziosamente nei propri gruppi di ascolto. Questa testimonianza che scaturisce dalla lettura sapienziale non si esaurisce nella sfera personale ma si allarga all'impegno sociale del credente.
  4. È fondamentale vivere tanto intensamente l'incontro con la pagina sacra in forma diretta, segnatamente con la lectio divina, quanto è vitale proseguire nel cammino che viene aperto dalla medesima parola di Dio trovata nel testo. Questa richiede di risuonare nella Chiesa dove è stata pronunciata per la prima volta, animando l'apostolato biblico, ma non trascurando gli altri canali della Parola, quali la catechesi, la liturgia, il servizio della carità.

E, finalmente, la parola di Dio della Bibbia arriva alle frontiere, dove vivono uomini e donne di altre religioni o di cultura solo laica, con cui intende entrare in un dialogo che salva, come faceva Gesù iniziando il Vangelo nella “Galilea delle genti” (Mt 4,15). Qui si possono incontrare anche le intenzionalità più profonde del cosiddetto progetto culturale della Chiesa italiana, con cui si vuole rendere la fede di sempre significativa e plausibile nel contesto delle culture che caratterizzano il nostro tempo.

A conclusione di questa rilettura è da precisare che non bisogna separare il mistero della parola di Dio dalla mediazione del testo: la Parola si dice con l'alfabeto della Bibbia. Ma l'alfabeto della Bibbia è quello della Tradizione originaria, così come l'ha sillabato la Chiesa nel suo dialogo con lo Sposo. Da questa convinzione di fede, che unisce parola scritta e vita della comunità ecclesiale, può scaturire un modello di iniziazione alla Parola di Dio che ne faccia accrescere la venerazione facendo accrescere la vita della Chiesa (cfr. n. 26). ______________________________________________

«Tutta l’evangelizzazione è fondata sulla Parola di Dio, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”. La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la ricezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia». papa Francesco Evangelii Gaudium n. 174.

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

CAPITOLO V – IL NUOVO TESTAMENTO

Eccellenza del Nuovo Testamento 17 La parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16), si presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo Testamento. Quando infatti venne la pienezza dei tempi (cfr. Gal 4,4), il Verbo si fece carne ed abitò tra noi pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14). Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso e portò a compimento l'opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, nonché con l'invio dello Spirito Santo. Elevato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32 gr.), lui che solo ha parole di vita eterna (cfr. Gv 6,68). Ma questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti nello Spirito Santo (cfr. Ef 3,4-6, gr.), affinché predicassero l'Evangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa. Di tutto ciò gli scritti del Nuovo Testamento presentano una testimonianza perenne e divina.

Origine apostolica dei Vangeli 18 A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il fondamento della fede, cioè l'Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni [Cf. S. IRENEO, Adv. Haer., III, 11, 8: PG 7, 885; ed. SAGNARD, p. 194.].

Carattere storico dei Vangeli 19 La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfr At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo l'Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità [Cf. Gv 14,26; 16,13], godevano [Cf. Gv 2,22; 12,6; da confr. con 14,26; 16,12-13; 7,39]. E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere [Cf. Istruzione Sancta Mater Ecclesia emanata dal Pontificio Consiglio per la promozione degli Studi Biblici: AAS 56 (1964) p. 715]. Essi infatti, attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali « fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola », scrissero con l'intenzione di farci conoscere la « verità » (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto.

Gli altri scritti del Nuovo Testamento 20 Il canone del Nuovo Testamento, oltre i quattro Vangeli, contiene anche le lettere di san Paolo ed altri scritti apostolici, composti per ispirazione dello Spirito Santo; questi scritti, per sapiente disposizione di Dio, confermano tutto ciò che riguarda Cristo Signore, spiegano ulteriormente la sua dottrina autentica, fanno conoscere la potenza salvifica dell'opera divina di Cristo, narrano gli inizi della Chiesa e la sua mirabile diffusione nel mondo e preannunziano la sua gloriosa consumazione. Il Signore Gesù, infatti, assisté i suoi apostoli come aveva promesso (cfr. Mt 28,20) e inviò loro lo Spirito consolatore, il quale doveva introdurli nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13).

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. V – IL NUOVO TESTAMENTO

Il cap. V della Dei Verbum affronta alcune questioni relative al Nuovo Testamento, che è il vertice di tutta la Sacra Scrittura, perché in esso ci è data «testimonianza perenne e divina» del mistero del Verbo fatto carne, che si manifesta nella «pienezza dei tempi» (n. 7); questa testimonianza ha al suo centro i santi vangeli, di cui è affermata l'origine apostolica (n. 18) e sottolineato il valore storico, punto sostanziale per la fede, per cui è da riconoscerne la corretta genesi, partendo dalla predicazione di Gesù, attraverso la predicazione degli apostoli, fino alla redazione dei quattro evangelisti (n. 19); senza dimenticare l'importanza degli altri scritti neotestamentari (n. 20).

Nell'esperienza biblica va dato il primato al Nuovo Testamento, segnatamente alla persona di Gesù; ma questo non dovrebbe estromettere altri scritti del Nuovo Testamento, San Paolo in particolare, il grande sconosciuto. Il primato non è tanto o soltanto materiale, ma prima di tutto di centralità, così che ogni lettura biblica abbia nel Nuovo Testamento la sua chiave interpretativa.

Occorre non rinunciare a dare un giusto profilo biografico della persona di Gesù Cristo (non basterebbe trattarlo in frammenti di parole e di fatti). Vi è la missione terrena da porre in risalto nelle coordinate storiche, geografiche, ambientali e contestuali; c'è da cogliere nell'integralità il suo messaggio e infine il suo mistero, quello che la risurrezione svela, con l'approfondimento armonico di tale mistero nel credo della Chiesa. Le varie esperienze bibliche, specialmente se continuate, dovrebbero permettere di dare e ricevere il volto di Gesù nella sua pienezza.

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

CAPITOLO IV – IL VECCHIO TESTAMENTO

La storia della salvezza nei libri del Vecchio Testamento 14 Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse. Infatti, mediante l'alleanza stretta con Abramo (cfr. Gn 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d'Israele (cfr. Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s'era acquistato come l'unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr. Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17). L'economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: «Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza» (Rm 15,4).

Importanza del Vecchio Testamento per i cristiani 15 L'economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1Cor 10,11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina [Cf. PIO XI, Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 151]. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.

Unità dei due Testamenti 16 Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo [Cf. S. AGOSTINO, Quaest. in Hept., 2, 73: PL 34, 623]. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica [Cf. S. IRENEO, Adv. Haer., III, 21, 3: PG 7, 950 (= 25,1: HARVEY, 2, p. 115). S. CIRILLO DI GERUS., Catech., 4,35: PG 33, 497, TEODORO DI MOPS., In Soph., I, 4-6: PG 66, 452D-453A], acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. IV — IL VECCHIO TESTAMENTO

L'Antico Testamento viene presentato come parte organica della storia della salvezza. I suoi libri «conservano valore perenne» (n. 14), sono parola di Dio anche per i cristiani, nell'ottica di una «preparazione evangelica», di «una vera pedagogia divina» (n. 15), formando così un'unità articolata con il Nuovo Testamento, alla luce del quale «acquistano e manifestano il loro complesso significato» (n. 16).

Molti cristiani evitano quasi l’Antico Testamento: è trascurato un annuncio corretto di esso; si ha fastidio di un certo linguaggio, si diffondono gli stereotipi sul Dio “violento” e su una religione “nazionalista”, facendo ricadere il sospetto sulla religione ebraica e sull'ebraismo; è difficile vedere la continuità fra Antico e Nuovo Testamento, non si sa realizzare una lettura cristiana della prima alleanza! Tutto ciò richiede la conoscenza della teologia dell'Antico Testamento nel quadro cristiano e segnatamente del documento della Pontificia Commissione Biblica “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (2001).

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

CAPITOLO III – L'ISPIRAZIONE DIVINA E L'INTERPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA

Ispirazione e verità della Scrittura 11 Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1787 (3006) [Collantes 2.015]. PONT. COMM. BIBLICA, Decr. 18 giugno 1915: Dz 2180 (3629); EB 420. S. S. C. del S. Uffizio, Lett. 22 dic. 1923: EB 499] per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità [Cf. PIO XII, Encicl. Divino afflante, 30 sett. 1943: AAS 35 (1943), p. 314; EB 556], affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo [In e per l’uomo: cf. Eb 1,1 e 4,7 (in); 2 Sam 23,2; Mt 1,22 e passim (per); CONC. VAT. I, Schema de doctr. cath., nota 9: Coll. Lac. VII, 522], scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte [LEONE XIII, Encicl. Providentissimus Deus, 18 nov. 1893: Dz 1952 (3293); EB 556 Collantes 2.028-30].

Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture [Cf. S. AGOSTINO, De Gen. ad litt., 2, 9, 20: PL 34, 270-271; CSEL 28, 1, 46-47, e Epist. 82, 3: PL 33, 277: CSEL 34, 2, 354. – S. TOMMASO, De Ver., q. 12, a. 2, C. – CONC. DI TRENTO, decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) [Collantes 2.006]. – LEONE XIII, Encicl. Providentissimus Deus: EB 121, 124, 126-127 [Dz 3291ss; Collantes 2.026ss]. – PIO XII, Encicl. Divino afflante: EB 539]. Pertanto «ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona».

Come deve essere interpretata la sacra Scrittura 12 Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana [Cf. S. AGOSTINO, De Civ. Dei, XVII, 6, 2: PL 41, 537; CSEL 40, 2,228], l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso [Cf. S. AGOSTINO, De Doctr. Christ., III, 18, 26: PL 34, 75-76; CSEL 80, 95]. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani [Cf. PIO XII, l.c. [nota 5]: Dz 2294 (3829-3830); EB 557-562 in parte Collantes 2.069-71].

Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta [Cf. BENEDETTO XV, Encicl. Spiritus Paraclitus, 15 sett. 1920: EB 469. S. GIROLAMO, In Gal. 5, 19-21: PL 26, 417A], per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1788 (3007) Collantes 2.016].

La «condiscendenza» della Sapienza divina 13 Nella sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l'ammirabile condiscendenza della eterna Sapienza, «affinché possiamo apprendere l'ineffabile benignità di Dio e a qual punto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia adattato il suo parlare» [S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Gen. 3,8 (om. 17,1): PG 53,134. “Attemperatio”, in greco synkatábasis]. Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si son fatte simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell'umana natura, si fece simile all'uomo.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. III — L'ISPIRAZIONE DIVINA E L'INTERPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA

Il cap. III della Dei Verbum, dedicato all'identità della Scrittura nella sua globalità, ha avuto un cammino di maturazione progressiva, che ha portato a un testo largamente condiviso, con contenuti da collocare e comprendere nel contesto della riflessione di secoli.

• Anzitutto viene l'affermazione sul fatto della ispirazione delle Scritture, cioè che i libri sacri «hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa» (n. 11). Più precisamente, hanno per autore Dio con la mediazione di veri autori umani.

• Viene poi il senso da dare alla verità della Bibbia: «I libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere» (n. 11). Sottolineatura importante: proprio della Bibbia è dire verità rivelate da Dio in funzione non della nostra cultura o di finalità profane, ma della salvezza delle persone, e quindi da comprendere non come risposte scientifiche, ma religiose. Non viene limitata l'ispirazione, ma ne viene compresa la ragion d'essere. Qui si inserisce il giusto dialogo con le scienze, senza che vi sia motivo per conflitti perniciosi.

• Tutto ciò esige un corrispondente processo di interpretazione della Bibbia accolta per quello che è: parola di Dio in linguaggio umano, affidata alla Chiesa. Comporta un doppio livello di lettura: la ricerca del senso immediato del testo, secondo le sue connotazioni storiche e letterarie, e la sua trasfigurazione nel senso spirituale, ovvero secondo lo «stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (n. 12), quello Spirito che rimanda a Cristo e alla Chiesa. È il nodo fondamentale dell'ermeneutica, affermato dalla Dei Verbum nei principi sostanziali, ma affatto esaurito. Qui ha il suo posto il successivo documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993).

• La Dei Verbum, a conclusione del capitolo sull'identità della Bibbia, ricorda che la Bibbia appartiene al mistero dell'incarnazione, che abbraccia tutte le parole di Dio nella Bibbia, racchiuse nella figura della divina Sapienza che ha il suo culmine nell'incarnazione del Figlio di Dio, parole quindi che rispecchiano in se stesse l'umanità e la divinità del Verbo, la debolezza umana e la forza di Dio (cfr. n. 13). Cercare i volti di Dio e dell'uomo facendo perno sul mistero di Cristo, uomo e Dio, diventa la via necessaria e indispensabile di intelligenza corretta e vitale delle Scritture.

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

CAPITOLO II – LA TRASMISSIONE DELLA DIVINA RIVELAZIONE

Gli apostoli e i loro successori, missionari del Vangelo 7 Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale [Cf. Mt 28,19-20 e Mc 16,15. CONC. DI TRENTO, Decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) Collantes 2.006], comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza [Cf. CONC. DI TRENTO, l.c.; CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1787 (3006)].

Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri» [S. IRENEO, Adv. Haer., III, 3, 1: PG 7, 848; HARVEY, 2, p. 9]. Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).

La sacra tradizione 8 Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre [Cf. CONC. DI NICEA II: DZ 303 (602). CONC. DI COSTANT. IV, Sess. X, can. 1: Dz 336 (650-52)]. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.

Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica, Dei Filius, cap. 4: Dz 1800 (3020) Collantes 1.085]: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.

Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).

Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione 9 La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza [Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De canonicis Scripturis: Dz 783 (1501) Collantes 2.006].

Relazioni della Tradizione e della Scrittura con tutta la chiesa e con il magistero 10 La sacra tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa; nell'adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2,42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si stabilisca tra pastori e fedeli una singolare unità di spirito [f. PIO XII, Cost. Apost. Munificentissimus Deus, 1° nov. 1950: AAS 42 (1950), p. 756, che riporta le parole di S. CIPRIANO, Epist. 66, 8: CSEL 3, 2, 733: “La Chiesa è un popolo raccolto intorno al Sacerdote e un gregge unito al suo Pastore”].

L'ufficio poi d'interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3: Dz 1792 (3011) Collantes 1.070], è affidato al solo magistero vivo della Chiesa [Cf. PIO XII, Encicl. Humani Generis, 12 ag. 1950: AAS 42 (1950), pp. 568-569: Dz 2314 (3886) Collantes 7.203-04], la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.

È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. II — LA TRASMISSIONE DELLA DIVINA RIVELAZIONE

La trasmissione della Rivelazione ha una sua complessità, che nel passato non poche volte è stata proposta nella divisione e nella contrapposizione tra Tradizione e Scrittura, o per svilire questa o per negare quella. La Dei Verbum mette in rilievo tre grandi verità:

• La Rivelazione, che si realizza per incarnazione della Parola nello spazio e nel tempo, per arrivare ad ogni uomo deve essere trasmessa di generazione in generazione, con l’annuncio, i segni e la testimonianza, tra cui anche i testi scritti. La Tradizione attua la vocazione missionaria della parola di Dio: «Dio dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni» (n. 7). Alla base della Tradizione sta la «predicazione apostolica» (n. 8), che continua la sua vita nel tempo in diverse modalità: orali, scritte, testimoniali, nella dottrina, nella celebrazione e nella vita della comunità, salvaguardandone l'autenticità, senza deformazioni, da vivente a vivente, secondo le mediazioni di trasmissione del tempo, dando figura di volta in volta alla dinamicità che è propria della parola di Dio.

• Soggetto responsabile della trasmissione della Rivelazione rimane sempre Cristo, per l'impulso dello Spirito Santo, rappresentato ed espresso dal corpo stesso di Gesù dopo Pasqua che è la Chiesa, la quale, «nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» (n. 8). È una Tradizione che progredisce grazie allo studio, all'esperienza di fede, alla predicazione e «tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio» (n. 8).

• Tradizione e Scrittura sono «come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio» (n. 7), sono «strettamente tra loro congiunte e comunicanti», come canali «che scaturiscono dalla stessa divina sorgente» sono «un solo sacro deposito della parola di Dio affidata alla Chiesa» (n. 10). La Scrittura nasce dentro la Tradizione viva, da essa viene trasmessa e dunque ha bisogno del contesto di Tradizione per essere capita nel significato vitale, come parola di Dio. D'altra parte la Scrittura costituisce per così dire il centro della Tradizione, l'oggettivazione della sua aurora, la fa emergere nella freschezza alla sorgente, collegandola alla genuinità della Tradizione apostolica. La Tradizione è criterio di attualità, di vivificazione della Parola; la Scrittura, di autenticità. Il Magistero fa opera di discernimento in quanto ha l'ufficio di «interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa» (n. 10).

• Tradizione e Scrittura sono «come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio» (n. 7), sono «strettamente tra loro congiunte e comunicanti», come canali «che scaturiscono dalla stessa divina sorgente» sono «un solo sacro deposito della parola di Dio affidata alla Chiesa» (n. 10). La Scrittura nasce dentro la Tradizione viva, da essa viene trasmessa e dunque ha bisogno del contesto di Tradizione per essere capita nel significato vitale, come parola di Dio. D'altra parte la Scrittura costituisce per così dire il centro della Tradizione, l'oggettivazione della sua aurora, la fa emergere nella freschezza alla sorgente, collegandola alla genuinità della Tradizione apostolica. La Tradizione è criterio di attualità, di vivificazione della Parola; la Scrittura, di autenticità. Il Magistero fa opera di discernimento in quanto ha l'ufficio di «interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa» (n. 10).

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione DEI VERBUM (18 novembre 1965)

PROEMIO 1 In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1,2-3). Perciò seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l'annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami [Cf. S. AGOSTINO, De catechizandis rudibus, 4,8: PL 40, 316].

CAPITOLO I – LA RIVELAZIONE

Natura e oggetto della Rivelazione 2 Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione [Cf. Mt 11,27; Gv 1,14.17; 14,6; 17,1-3; 2 Cor 3,16; 4,6; Ef 1,3-14].

Preparazione della Rivelazione evangelica 3 Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all'Evangelo.

Cristo completa la Rivelazione 4 Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini» [Epist. ad Diognetum, 7,4: FUNK, Patres Apostolici, I, p. 403.], «parla le parole di Dio» (Gv 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1 Tm 6,14 e Tt 2,13).

Accogliere la Rivelazione con fede 5 A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» [CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3: Dz 1789 (3008) Collantes 1.067] e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità» [SIN. DI ORANGE II, can. 7: Dz 180 (377) Collantes 8.035; CONC. VAT. I, l.c.: Dz 1791 (3010) Collantes 1.069]. Affinché poi l'intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.

Le verità rivelate 6 Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, «per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana» [CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1786 (3005) Collantes 1.063]. Il santo Concilio professa che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create» (cfr. Rm 1,20); ma insegna anche che è merito della Rivelazione divina se «tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza d'errore» [CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2: Dz 1785 e 1786 (3004 e 3005) Collantes 1.061-63].

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. I — LA RIVELAZIONE

La Dei Verbum È la costituzione conciliare che immediatamente propone una visione della fede tutta centrata sull’esperienza di Gesù Cristo. A partire dell’evento cristologico viene ricompresa la relazione tra Scrittura e Rivelazione. Dio vuole incontrare gli uomini e parlare loro come ad amici, e questo avviene nella vicenda storica che ha in Gesù Cristo il suo centro ed il suo culmine. La rivelazione di Dio diventa allora vissuta in una prospettiva amicale e ci fa dire che la fede non è prima di tutto comunicazione di una verità da credere, quanto un rapporto personale ed esistenziale degli esseri umani con Colui che per noi è Padre di misericordia.

La Chiesa è la realtà chiamata a prolungare nella storia e nel mondo questo dialogo divino / umano. Dio ci vuole dare accesso alla sua stessa intimità, lui si rende prossimo: è questa una possibilità inaudita. A questa chiamata egli ci sollecita come popolo santo di Dio, chiamato a vivere la nostra singolare unità di spirito a partire dalla comune costituzione battesimale: “La posta in gioco è quella dell’adesione alla Parola di Dio la cui intelligenza è a tutti noi affidata; non monopolio di alcuni, ma bene comune di tutti. La sfida – più che mai attuale – è appunto quella del ritenere, trasmettere, praticare e professare tutti, in «singolare unità di spirito», la fede ricevuta e trasmessa.” (Cettina Militello in Perle del Concilio. Dal tesoro del Vaticano II, a cura di Marco Vergottini, EDB, Bologna 2012, 34.)

La Dei Verbum si presenta strutturata in sei capitoli e 26 numeri; al Proemio seguono immediatamente i capitoli:

  1. La rivelazione
  2. La trasmissione della divina rivelazione
  3. L’ispirazione divina e l’interpretazione della sacra scrittura
  4. Il vecchio testamento
  5. Il nuovo testamento
  6. La sacra scrittura nella vita della chiesa

La Costituzione fu promulgata da Papa Paolo VI il 18 novembre 1965, in seguito all’approvazione dei vescovi riuniti in assemblea con 2.344 voti favorevoli e 6 contrari. Il titolo è un rimando sia alle Sacre Scritture (letteralmente, la «Parola di Dio»), sia allo stesso Gesù Cristo (il Verbo di Dio) ed è tratto dall’incipit del documento, com’è consuetudine nei documenti ufficiali del Concilio.

La parola di Dio che è il suo stesso Figlio, comunica all’uomo con parole e gesti; Egli, che si è fatto uomo, anche come uomo sa rispondere a tale Parola e insegna anche a noi a porci in questa stessa dinamica. Egli si fa mediatore per permettere all’uomo, e a ogni uomo, di comprendere umanamente quella parola divina ed adempierla.

La Dei Verbum ci invita dunque a ripercorrere il mistero della Parola che si fa Scrittura, come quello della Parola che si fa carne. La nostra spiegazione deve però essere maturata dalla pienezza della nostra vita in Dio e deve trovare sostegno nel nostro stare in silenzio davanti a Lui.

Ecco, in sintesi, alcuni dei caratteri con cui nella Dei Verbum viene descritta la Rivelazione, la parola di Dio.

• Prima di poter essere ricondotta a un insieme di formule dottrinali, la Rivelazione è l’atto di auto-comunicazione amorosa di Dio agli uomini, cui egli si dona in vista della loro salvezza. Le Persone divine si manifestano e si consegnano all'uomo, e la storia umana diventa, per volere di Dio, progetto di storia di salvezza.

• Tale evento di comunicazione avviene nella storia, secondo le modalità proprie con cui si realizza l'agire storico, e quindi mediante “eventi e parole”, che reciprocamente si illuminano.

• La Rivelazione storica ha un centro, che è l'evento di Gesù Cristo.

• All'uomo che è libero si richiede una libera risposta di consenso, la fede. Come risposta ad un evento, essa non si riduce al riconoscimento di una verità, ma implica l'accoglienza di Dio. Dimensione essenziale ed esistenziale, assenso veritativo e affidamento fiduciale non si oppongono nella fede cristiana, in cui la Verità si manifesta nella persona del Figlio di Dio fatto uomo.

Da questa articolata visione dell'atto comunicativo di Dio e della risposta dell'uomo possiamo trarre alcune implicazioni pastorali.

a) Incontrare la Bibbia è incontrare Dio che, comunicatosi a noi nella storia, oggi ci parla nel libro che è testimonianza della sua Rivelazione. La Bibbia stessa infatti è parola di Dio, questa parola amicale e di comunione. E interessante notare l'inclusione che si istituisce tra inizio e fine del documento. Si legge nel cap. I: «Con questa Rivelazione Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (n. 2); e nel cap. VI, a proposito di Bibbia: «Nei libri sacri il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro» (n. 21). C'è molto da fare ancora perché da tutti sia avvertito che aprire la Bibbia è entrare nel mistero di amore del Padre che comunica con noi, nello Spirito, mediante il suo Figlio. Un'esperienza non riducibile alla sola sfera dell'intelligenza e della conoscenza, ma che si compie nell'incontro.

b) Dio parla di sé a noi come uomini: la Bibbia testimonia la Rivelazione di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso, e del loro reciproco rapporto. La Bibbia non parla di Dio e dell'uomo separati, ma in vista di un patto di amore, di un'alleanza, che Dio offre all'uomo, che l'uomo può accogliere o rifiutare, perdendo qualcosa di sé ogni volta che rifiuta qualcosa di Dio. La Bibbia, parola di Dio, vuol rendere grande l'uomo che la riceve, della grandezza e dignità di Dio, con la responsabilità di esserlo e di viverlo. L'incontro con la Bibbia porta alle altezze della dignità di Dio. Essa va proposta come “libro di alleanza”. Mettersi al suo ascolto deve essere percepito come una pratica di dialogo tra alleati, tra amici.

c) Congiunzione visibile e infallibile fra Dio e uomo è Gesù Cristo, il Figlio fatto uomo per opera dello Spirito. Non è da poco proporre l'incontro biblico come incontro con Dio in Gesù Cristo il mediatore, il ponte fra Dio e l'umanità. Importa, quanto meno, dare ai Vangeli un posto privilegiato nell'incontro biblico e concludere i messaggi degli altri libri contenuti nella Scrittura, avanti e dopo Gesù, nell'ultima Parola che è Gesù nella sua Chiesa; ed ancora sforzarsi di leggere in ogni brano biblico la Rivelazione di Dio, dell'uomo e del loro rapporto, vedendone la luce piena nella storia di Gesù.

d) Che Dio si riveli e dunque comunichi la sua parola nella storia, intreccio di opere e parole, porta a conoscere la vicenda della parola di Dio, anzitutto dentro la storia della Bibbia. Ciò significa abilitarsi a leggere la Bibbia secondo le tre dimensioni di storia, letteratura, messaggio; ma anche riconoscendo che la storia è luogo in cui la Rivelazione, la parola di Dio del passato si incarna e rivela la sua verità. Per questo ci si deve anzitutto allenare al discernimento dei segni di Dio, dei semi del Verbo, nella storia dell'uomo, dai grandi avvenimenti che segnano la storia dei popoli fino alle vicende personali di chi fa con noi un cammino con la Bibbia in mano; in secondo luogo si deve anche diventare costruttori di storia secondo un agire illuminato dalla luce della Parola.

e) Se la Rivelazione è, un rapporto, un dialogo fra Dio e uomo in Gesù Cristo, con la potenza dello Spirito, allora a Dio che si dona nel segno della parola non può che corrispondere come risposta adeguata la fede, quale atteggiamento esistenziale che percepisce e ritiene la verità della comunicazione e insieme si affida fiduciosamente al Padre, accogliendo con amore la Parola, pregandola e ubbidendovi: «A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo si abbandona tutto a Dio, liberamente, prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» (n. 5). L'azione pastorale non può prescindere da questa soggettività credente (che non esclude ma al contrario include l'oggettività del dato di fede), richiedendo ed educando all'atteggiamento di amore e di fede nel Signore che parla. La preghiera non deve essere un'appendice, ma la spina dorsale dell'incontro biblico. Per questo la lectio divina è antica quanto la Chiesa ed è proposta in maniera privilegiata da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte al n. 39, dai Vescovi italiani in Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia al n. 49, segnalata in modo particolare ai giovani da Benedetto XVI nel Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù (9 aprile 2006) e ribadita nei Lineamenta per la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi al n. 25.

https://www.diocesinola.it/downloads/category_105/Libretto-riflessione-Dei-Verbum.pdf

https://www.acvenezia.net/wp-content/uploads/2016/01/DEI_VERBUM_presentazioneDD.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO VIII – LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

IV. Il culto della beata Vergine nella Chiesa

Natura e fondamento del culto 66 Maria, perché madre santissima di Dio presente ai misteri di Cristo, per grazia di Dio esaltata, al di sotto del Figlio, sopra tutti gli angeli e gli uomini, viene dalla Chiesa giustamente onorata con culto speciale. E di fatto, già fino dai tempi più antichi, la beata Vergine è venerata col titolo di «madre di Dio» e i fedeli si rifugiano sotto la sua protezione, implorandola in tutti i loro pericoli e le loro necessità [Cf. Breviario Romano, ant. “Sub tuum praesidium” ai I Vespri del Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria; nella Liturgia delle Ore, antifona mariana di Compieta]. Soprattutto a partire dal Concilio di Efeso il culto del popolo di Dio verso Maria crebbe mirabilmente in venerazione e amore, in preghiera e imitazione, secondo le sue stesse parole profetiche: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose mi ha fatto l'Onnipotente» (Lc 1,48). Questo culto, quale sempre è esistito nella Chiesa sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione reso al Verbo incarnato cosi come al Padre e allo Spirito Santo, ed è eminentemente adatto a promuoverlo. Infatti le varie forme di devozione verso la madre di Dio, che la Chiesa ha approvato, mantenendole entro i limiti di una dottrina sana e ortodossa e rispettando le circostanze di tempo e di luogo, il temperamento e il genio proprio dei fedeli, fanno si che, mentre è onorata la madre, il Figlio, al quale sono volte tutte le cose (cfr Col 1,15-16) e nel quale «piacque all'eterno Padre di far risiedere tutta la pienezza» (Col 1,19), sia debitamente conosciuto, amato, glorificato, e siano osservati i suoi comandamenti.

Norme pastorali 67. Il santo Concilio formalmente insegna questa dottrina cattolica. Allo stesso tempo esorta tutti i figli della Chiesa a promuovere generosamente il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine, ad avere in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei, raccomandati lungo i secoli dal magistero della Chiesa; raccomanda di osservare religiosamente quanto in passato è stato sancito circa il culto delle immagini di Cristo, della beata Vergine e dei Santi [Cf. CONCILIO DI NICEA II, anno 787: MANSI 13, 378-279; Dz 302 (600-01) [Collantes 7.336-37]; CONC. DI TRENTO, Sess. 25: MANSI 33, 171-172 Dz 1821-25; Collantes 7.343-47]. Esorta inoltre caldamente i teologi e i predicatori della parola divina ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure da una eccessiva grettezza di spirito, nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio [Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 24 ott. 1954: AAS 46 (1954), p. 679; Encicl. Ad caeli Reginam, 11 ott. 1954: AAS 46 (1954), p. 637]. Con lo studio della sacra Scrittura, dei santi Padri, dei dottori e delle liturgie della Chiesa, condotto sotto la guida del magistero, illustrino rettamente gli uffici e i privilegi della beata Vergine, i quali sempre sono orientati verso il Cristo, origine della verità totale, della santità e della pietà. Sia nelle parole che nei fatti evitino diligentemente ogni cosa che possa indurre in errore i fratelli separati o qualunque altra persona, circa la vera dottrina della Chiesa. I fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vana credulità, bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la madre nostra e all'imitazione delle sue virtù.

V. Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio

Maria, segno del popolo di Dio 68 La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell'anima, costituisce l'immagine e l'inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2Pt 3,10).

Maria interceda per l'unione dei cristiani 69 Per questo santo Concilio è di grande gioia e consolazione il fatto che vi siano anche tra i fratelli separati di quelli che tributano il debito onore alla madre del Signore e Salvatore, specialmente presso gli Orientali, i quali vanno, con ardente slancio ed anima devota, verso la madre di Dio sempre vergine per renderle il loro culto [Cf. PIO XI, Encicl. Ecclesiam Dei, 12 nov. 1923: AAS 15 (1923), p. 581. PIO XII, Encicl. Fulgens corona, 8 sett. 1953: AAS 45 (1953), pp. 590-591]. Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla madre di Dio e madre degli uomini, perché, dopo aver assistito con le sue preghiere la Chiesa nascente, anche ora, esaltata in cielo sopra tutti i beati e gli angeli, nella comunione dei santi interceda presso il Figlio suo, fin tanto che tutte le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità.

21 novembre 1964

DAGLI ATTI DEL SS. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

Notificazioni

Fatte dall’Ecc.mo Segretario Generale del Ss. Concilio nella CXXIII Congregazione Generale del 16 novembre 1964

È stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e sottoposto alla votazione. La commissione dottrinale ha dato al quesito questa risposta: «Come è di per sé evidente, il testo del Concilio deve sempre essere interpretato secondo le regole generali da tutti conosciute». In pari tempo la commissione dottrinale rimanda alla sua dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui trascriviamo il testo:

«Tenuto conto dell'uso conciliare e del fine pastorale del presente Concilio, questo definisce come obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali».

«Le altre cose che il Concilio propone, in quanto dottrina del magistero supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle secondo lo spirito dello stesso Concilio, il quale risulta sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica».

Per mandato dell'autorità superiore viene comunicata ai Padri una nota esplicativa previa circa i «modi» concernenti il capo terzo dello schema sulla Chiesa. La dottrina esposta nello stesso capo terzo deve essere spiegata e compresa secondo lo spirito e la sentenza di questa nota.

16 novembre 1964

NOTA ESPLICATIVA PREVIA La commissione ha stabilito di premettere all'esame dei “modi” le seguenti osservazioni generali:

1) “Collegio” non si intende in senso « strettamente giuridico », cioè di un gruppo di eguali, i quali abbiano demandata la loro potestà al loro presidente, ma di un gruppo stabile, la cui struttura e autorità deve essere dedotta dalla Rivelazione. Perciò nella risposta al modus 12 si dice esplicitamente dei Dodici che il Signore li costituì « a modo di collegio o “gruppo” (coetus) stabile ». Cfr. anche il modus 53, c. Per la stessa ragione, per il collegio dei vescovi si usano con frequenza anche le parole “ordine” (ordo) o “corpo” (corpus). Il parallelismo fra Pietro e gli altri apostoli da una parte, e il sommo Pontefice e i vescovi dall'altra, non implica la trasmissione della potestà straordinaria degli apostoli ai loro successori, né, com'è chiaro, “uguaglianza” (aequalitatem) tra il capo e le membra del collegio, ma solo “proporzionalità” (proportionalitatem) fra la prima relazione (Pietro apostoli) e l'altra (papa vescovi). Perciò la commissione ha stabilito di scrivere nel n. 22 non “medesimo” (eodem) ma “pari” modo. Cfr. modus 57.

2) Si diventa “membro del collegio” in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con le membra. Cfr. n. 22.

Nella consacrazione è data una “ontologica” partecipazione ai “sacri uffici”, come indubbiamente consta dalla tradizione, anche liturgica. Volutamente è usata la parola “uffici” (munerum), e non “potestà” (potestatum), perché quest'ultima voce potrebbe essere intesa di potestà esercitabile di fatto (ad actum expedita). Ma perché si abbia tale potestà esercitabile di fatto, deve intervenire la “determinazione” canonica o “giuridica” (iuridica determinatio) da parte dell'autorità gerarchica. E questa determinazione della potestà può consistere nella concessione di un particolare ufficio o nell'assegnazione dei sudditi, ed è concessa secondo le norme approvate dalla suprema autorità. Una siffatta ulteriore norma è richiesta “dalla natura delle cose”, trattandosi di uffici, che devono essere esercitati da “più soggetti”, che per volontà di Cristo cooperano in modo gerarchico. È evidente che questa “comunione” è stata applicata nella vita della Chiesa secondo le circostanze dei tempi, prima di essere per così dire codificata “nel diritto”. Perciò è detto espressamente che è richiesta la comunione “gerarchica” col capo della Chiesa e con le membra. “Comunione” è un concetto tenuto in grande onore nella Chiesa antica (ed anche oggi, specialmente in Oriente). Per essa non si intende un certo vago “sentimento”, ma una “realtà organica”, che richiede una forma giuridica e che è allo stesso tempo animata dalla carità. La commissione quindi, quasi d'unanime consenso, stabilì che si scrivesse: « nella comunione “gerarchica” ». Cfr. Mod. 40 ed anche quanto è detto della “missione canonica”, sotto il n. 24. I documenti dei recenti romani Pontefici circa la giurisdizione dei vescovi vanno interpretati come attinenti questa necessaria determinazione delle potestà.

3) Il collegio, che non si dà senza il capo, è detto essere: «anche esso soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale ». Ciò va necessariamente ammesso, per non porre in pericolo la pienezza della potestà del romano Pontefice. Infatti il collegio necessariamente e sempre si intende con il suo capo, “il quale nel collegio conserva integro l'ufficio di vicario di Cristo e pastore della Chiesa universale”. In altre parole: la distinzione non è tra il romano Pontefice e i vescovi presi insieme, ma tra il romano Pontefice separatamente e il romano Pontefice insieme con i vescovi. E siccome il romano Pontefice e il “capo” del collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio, approvare le norme dell'azione, ecc. Cfr. Modo 81. Il sommo Pontefice, cui è affidata la cura di tutto il gregge di Cristo, giudica e determina, secondo le necessità della Chiesa che variano nel corso dei secoli, il modo col quale questa cura deve essere attuata, sia in modo personale, sia in modo collegiale. Il romano Pontefice nell'ordinare, promuovere, approvare l'esercizio collegiale, procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa.

4) Il sommo Pontefice, quale pastore supremo della Chiesa, può esercitare la propria potestà in ogni tempo a sua discrezione, come è richiesto dallo stesso suo ufficio. Ma il collegio, pur esistendo sempre, non per questo permanentemente agisce con azione “strettamente” collegiale, come appare dalla tradizione della Chiesa. In altre parole: Non sempre è «in pieno esercizio», anzi non agisce con atto strettamente collegiale se non ad intervalli e “col consenso del capo”. Si dice « col consenso del capo », perché non si pensi a una “dipendenza”, come nei confronti di chi è “estraneo”; il termine “consenso” richiama, al contrario, la “comunione” tra il capo e le membra e implica la necessità dell'atto”, il quale propriamente compete al capo. La cosa è esplicitamente affermata nel n. 22 ed è ivi spiegata. La formula negativa “se non” (nonnisi) comprende tutti i casi, per cui è evidente che le “norme” approvate dalla suprema autorità devono sempre essere osservate. Cfr. modus 84.

Dovunque appare che si tratta di “unione” dei vescovi “col loro capo”, e mai di azione dei vescovi “indipendentemente” dal papa. In tal caso, infatti, venendo a mancare l'azione del capo, i vescovi non possono agire come collegio, come appare dalla nozione di “collegio”. Questa gerarchica comunione di tutti i vescovi col sommo Pontefice è certamente abituale nella tradizione.

N. B.– Senza la comunione gerarchica l'ufficio sacramentale ontologico, che si deve distinguere dall'aspetto canonico giuridico, “non può” essere esercitato. La commissione ha pensato bene di non dover entrare in questioni di “liceità” e “validità”, le quali sono lasciate alla discussione dei teologi, specialmente per ciò che riguarda la potestà che di fatto è esercitata presso gli Orientali separati e che viene spiegata in modi diversi.

  • PERICLE FELICI Arcivescovo tit. di Samosata Segretario generale del Concilio

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. VII. — LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

Il capitolo si chiude con la raccomandazione che la devozione speciale a Maria non diventi culto di adorazione che è riservato solo alla Trinità e al Verbo incarnato.

https://www.chiesadilavenomombello.it/items/consiglio_pastorale/29/allegati/Lumen%20Gentium%20-%20riduzione%20ppt.pdf

NOTA ESPLICATIVA PREVIA La “nota esplicativa previa” circa la dottrina sulla collegialità episcopale, dovrebbe essere letta prima del Cap. III, perché risponde a una necessità di un approfondimento, dato che non vi era un consenso consolidato sulla comprensione dei termini utilizzati circa la collegialità episcopale. In sintesi dice che:

  1. Il termine «collegio» non si deve intendere in senso strettamente giuridico, ma in quello di gruppo stabile, nel quale non vige l’uguaglianza tra i membri e il loro capo.
  2. L’incorporazione in esso si realizza attraverso la consacrazione episcopale consistente nella comunione gerarchica con i membri del collegio e il suo capo.
  3. L'autorità del suo capo è tale da costituire un elemento necessario al collegio stesso e da potersi esercitare sempre e con piena e universale potestà anche al di fuori di esso.
  4. L’autorità collegiale dei suoi membri, pur esistendo sempre, non viene esercitata che ad intervalli e col consenso del capo del collegio.

Questa nota non apporta alcun elemento nuovo al testo votato dal Concilio.

«La collegialità è solo una parte del discorso più ampio della sinodalità: il limite più grande della dottrina sulla collegialità proposta dal Concilio che costituisce anche uno dei nodi più grossi dell’intera questione – è la sua declinazione assoluta, senza alcun riferimento al popolo di Dio e alle sue funzioni, come dimostra il silenzio totale della costituzione – e di tutto il Concilio – sulla sinodalità della chiesa». (Dario Vitali, Verso la sinodalità, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI) 2014, 62).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO VIII – LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

III. La beata Vergine e la Chiesa

Maria e Cristo unico mediatore 60 Uno solo è il nostro mediatore, secondo le parole dell'Apostolo: «Poiché non vi è che un solo Dio, uno solo è anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso in riscatto» (1Tm 2,5-6). La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita.

Cooperazione alla redenzione 61 La beata Vergine, predestinata fino dall'eternità, all'interno del disegno d'incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, coll'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell'ordine della grazia.

Funzione salvifica subordinata 62 E questa maternità di Maria nell'economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell'Annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti anche dopo la sua assunzione in cielo non ha interrotto questa funzione salvifica, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna [Cf. KLEUTGEN, testo riformato De mysterio Verbi incarnati, cap. IV: MANSI 53, 290. Cf. S. ANDREA DI CRETA, In nat. Mariae, sermo 4: PG 97, 865A. S. GERMANO DI COSTANTINOP., In annunt. Deiparae: PG 98, 321BC. In dorm. Deiparae, III: 361D. S. GIOV. DAMASCENO, In dorm. B. V. Mariae, Hom. I, 8: PG 96, 712BC-713A]. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice [Cf. LEONE XIII, Encicl. Adiutricem populi, 5 sett. 1895: ASS 28 (1895-96), p. 129. S. PIO X, Encicl. Ad diem illum, 2 febbr. 1904: Acta I, p. 154; Dz 1978a (3370) [Collantes 5.032-33]. PIO XI, Encicl. Miserentissimus, 8 maggio 1928: AAS 20 (1928), p. 178. PIO XII, Messaggio Radiof., 13 maggio 1946: AAS 38 (1946), p. 266]. Ciò però va inteso in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore [Cf. S. AMBROGIO, Epist. 63: PL 16, 1218].

Nessuna creatura infatti può mai essere paragonata col Verbo incarnato e redentore. Ma come il sacerdozio di Cristo è in vari modi partecipato, tanto dai sacri ministri, quanto dal popolo fedele, e come l'unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l'unica mediazione del Redentore non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un'unica fonte. La Chiesa non dubita di riconoscere questa funzione subordinata a Maria, non cessa di farne l'esperienza e di raccomandarla al cuore dei fedeli, perché, sostenuti da questa materna protezione, aderiscano più intimamente al Mediatore e Salvatore.

Maria vergine e madre, modello della Chiesa 63 La beata Vergine, per il dono e l'ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa: la madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant'Ambrogio, nell'ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo [Cf. S. AMBROGIO, Expos. Lc. II, 7: PL 15, 1555]. Infatti nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la beata vergine Maria occupa il primo posto, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e quale madre [Cf. Ps. PIER DAM., Serm. 63: PL 144, 861AB. GOFFREDO DI S. VITTORE, In nat. B. M., Ms. Parigi, Mazarine, 1002, fol. 109r. GEROBO DI REICH., De gloria et honore Filii hominis, 10: PL 194, 1105AB]. Ciò perché per la sua fede ed obbedienza generò sulla terra lo stesso Figlio di Dio, senza contatto con uomo, ma adombrata dallo Spirito Santo, come una nuova Eva credendo non all'antico serpente, ma, senza alcuna esitazione, al messaggero di Dio. Diede poi alla luce il Figlio, che Dio ha posto quale primogenito tra i molti fratelli (cfr. Rm 8,29), cioè tra i credenti, alla rigenerazione e formazione dei quali essa coopera con amore di madre.

La Chiesa vergine e madre 64 Orbene, la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo; imitando la madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo conserva verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità [Cf. S. AMBROGIO, Expos. Lc. II, 7 e X, 24-25: PL 15, 1555 e 1810. S. AGOSTINO, In Io., Tr. 13, 12: PL 35, 1499. Cf. Serm. 191, 2, 3: PL 38, 1010; ecc. Cf. anche VEN. BEDA, In Lc. Expos. I, cap. 2: PL 92, 330. ISACCO DELLA STELLA, Serm. 51: PL 194, 1863A].

La Chiesa deve imitare la virtù di Maria 65 Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine quella perfezione, che la rende senza macchia e senza ruga (cfr. Ef 5,27), i fedeli del Cristo si sforzano ancora di crescere nella santità per la vittoria sul peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti. La Chiesa, raccogliendosi con pietà nel pensiero di Maria, che contempla alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamente nel supremo mistero dell'incarnazione e si va ognor più conformando col suo sposo. Maria infatti, la quale, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera le esigenze supreme della fede, quando è fatta oggetto della predicazione e della venerazione chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all'amore del Padre. A sua volta la Chiesa, mentre ricerca la gloria di Cristo, diventa più simile al suo grande modello, progredendo continuamente nella fede, speranza e carità e in ogni cosa cercando e compiendo la divina volontà. Onde anche nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che generò il Cristo, concepito appunto dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine per nascere e crescere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa. La Vergine infatti nella sua vita fu modello di quell'amore materno da cui devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. VII. — LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

Maria è inserita nel mistero di Cristo (incarnazione) e della Chiesa (Pentecoste)

Evidenzia la solidarietà di Maria con l’azione di Dio in Gesù – il suo sì e il suo accompagnamento fino alla croce; la sua singolarità – nessuno vicino a Gesù come lo fu lei; la sua eminenza – nessuno più di lei partecipe del piano di Dio.

Il punto nuovo è la lettura di Maria in chiave “ecclesiotipica”. Maria è modello della Chiesa in quanto vergine e madre in senso spirituale prima che biologico:

• Vergine in quanto tutta nella fede nella Parola • Madre in quanto tutta nella carità di Dio

https://www.chiesadilavenomombello.it/items/consiglio_pastorale/29/allegati/Lumen%20Gentium%20-%20riduzione%20ppt.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO VIII – LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

I. Proemio

52 Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, «quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, nato da una donna... per fare di noi dei figli adottivi» (Gal 4,4-5), «Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine» [Simbolo Costantinopolitano: MANSI 3, 566. Cf. CONC. DI EFESO, ib. 4, 1130 (anche ib. 2, 665 e 4, 1071); CONC. DI CALC., ib. 7, 111-116; CONC. DI COSTANTINOPOLI II, ib. 9, 375-396 [Dz 150, 301, 422; Collantes 4.012, 4.020, 0.509]; Messale romano, nel Credo]. Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato e si continua nella Chiesa, che il Signore ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, aderendo a Cristo capo e in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria «innanzi tutto della gloriosa sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo» [Messale romano, nel Canone (Preghiera eucaristica I)].

Maria e la Chiesa 53 Infatti Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però, quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è «veramente madre delle membra (di Cristo)... perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra» [S. AGOSTINO, De S. Virginitate, 6: PL 40, 399]. Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima.

L'intenzione del Concilio 54 Perciò il santo Concilio, mentre espone la dottrina riguardante la Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare attentamente da una parte, la funzione della beata Vergine nel mistero del Verbo incarnato e del corpo mistico, dall'altra i doveri degli uomini, e i doveri dei credenti in primo luogo. Il Concilio tuttavia non ha in animo di proporre una dottrina esauriente su Maria, né di dirimere le questioni che il lavoro dei teologi non ha ancora condotto a una luce totale. Permangono quindi nel loro diritto le sentenze, che nelle scuole cattoliche vengono liberamente proposte circa colei, che nella Chiesa santa occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi [Cf. PAOLO VI, Discorso al Concilio del 4 dic.1963: AAS 56 (1964), p. 37].

II. Funzione della beata Vergine nell'economia della salvezza

La madre del Messia nell'Antico Testamento 55 I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della madre del Salvatore nella economia della salvezza e la propongono per così dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la Vergine, che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23). Essa primeggia tra quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, la figlia di Sion per eccellenza, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova «economia», quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana per liberare l'uomo dal peccato coi misteri della sua carne.

Maria nell'annunciazione 56 Il Padre delle misericordie ha voluto che l'accettazione da parte della predestinata madre precedesse l'incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. Ciò vale in modo straordinario della madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la vita stessa che tutto rinnova e da Dio è stata arricchita di doni consoni a tanto ufficio. Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l'uso di chiamare la madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, quasi plasmata dallo Spirito Santo e resa nuova creatura [Cf. S. GERMANO DI COST., Hom. in Annunt. Deiparae: PG 98, 328A; In Dorm., 2: 357. ANASTASIO D’ANTIOCHIA, Serm. 2 de Annunt., 2: PG 89, 1377AB; Serm. 3, 2: 1388C. S. ANDREA DI CRETA, Can. in B. V. Nat., 4: PG 97, 1321B; In B. V. Nat., 1: 812A; Hom. in Dorm., 1: 1068C. S. SOFRONIO, Or. 2 in Annunt., 18: PG 87(3), 3237BD]. Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è salutata dall'angelo dell'annunciazione, che parla per ordine di Dio, quale «piena di grazia» (cfr. Lc 1,28) e al celeste messaggero essa risponde «Ecco l'ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando con tutto l'animo, senza che alcun peccato la trattenesse, la volontà divina di salvezza, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant'Ireneo, essa «con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano» [S. IRENEO, Adv. Haer. III, 22, 4: PG 7, 959A; HARVEY, 2, 123]. Per cui non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede» [S. IRENEO, Adv. Haer. III, 22, 4: PG 7, 959A; HARVEY, 2, 124] e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi [S. EPIFANIO, Haer. 78, 18: PG 42, 728CD-729AB] e affermano spesso: «la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria» [S. GIROLAMO, Epist. 22, 21: PL 22, 408. Cf. S. AGOSTINO, Serm. 51, 2, 3: PL 38, 335; Serm. 232, 2: 1108. S. CIRILLO DI GERUS., Catech. 12, 15: PG 33, 741AB. S. GIOV. CRISOSTOMO, In Ps. 44, 7: PG 55, 193. S. GIOV. DAMASCENO, Hom. 2 in dorm. B.M.V., 3: PG 96, 728.].

Maria e l'infanzia di Gesù 57 Questa unione della madre col figlio nell'opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui; e prima di tutto quando Maria, partendo in fretta per visitare Elisabetta, è da questa proclamata beata per la sua fede nella salvezza promessa, mentre il precursore esultava nel seno della madre (cfr. Lc 1,41-45); nella natività, poi, quando la madre di Dio mostrò lieta ai pastori e ai magi il Figlio suo primogenito, il quale non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò [Cf. CONC. LAT. del 649, can. 3: MANSI 10, 1151 [Dz 503; Collantes 4.044]. S. LEONE M., Epist. ad Flav.: PL 54, 759 [Dz 291; Collantes 4.007]. CONC. DI CALC.: MANSI, 7, 462. S. AMBROGIO, De instit. virg.: PL 16, 32]. Quando poi lo presentò al Signore nel tempio con l'offerta del dono proprio dei poveri, udì Simeone profetizzare che il Figlio sarebbe divenuto segno di contraddizione e che una spada avrebbe trafitto l'anima della madre, perché fossero svelati i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,34-35). Infine, dopo avere perduto il fanciullo Gesù e averlo cercato con angoscia, i suoi genitori lo trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le sue parole. E la madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo e le meditava (cfr. Lc 2,41-51).

Maria e la vita pubblica di Gesù 58 Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da principio, quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli (cfr. Gv 2 1-11). Durante la predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo il Regno al di sopra delle considerazioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr Mc 3,35; Lc 11,27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2,19 e 51). Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25), soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrifico, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco tuo figlio (cfr. Gv 19,26-27) [Cf. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943), pp. 247-248 Collantes 5.034-35].

Maria dopo l'ascensione 59 Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste «perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli» (At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all'annunciazione, l'aveva presa sotto la sua ombra. Infine la Vergine immacolata, preservata immune da ogni macchia di colpa originale [Cf. PIO IX, Bolla Ineffabilis, 8 dic. 1854: Acta Pii IX, 1, I, p. 616; Dz 1641 (2803) Collantes 5.026] finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo [Cf. PIO XII, Cost. Apost. Munificentissimus, 1° nov. 1950: AAS 42 (1950); Dz 2333 (3903) [Collantes 5.030]. Cf. S. GIOV. DAMASCENO, Enc. in dorm. Dei genetricis, Hom. 2 e 3: PG 96, 721-761, specialmente 728B. S. GERMANO DI COSTANTINOP., In S. Dei gen. dorm., Serm. 1: PG 98(6), 340-348; Serm. 3: 361. S. MODESTO DI GER., In dorm. SS. Deiparae: PG 86(2), 3277-3312] e dal Signore esaltata quale regina dell'universo per essere così più pienamente conforme al figlio suo, Signore dei signori (cfr. Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte [Cf. PIO XII, Encicl. Ad coeli Reginam, 11 ott. 1954: AAS 46 (1954), pp. 633-636: Dz 3913ss. Cf. S. ANDREA DI CRETA, Hom. 3 in dorm. SS. Deiparae: PG 97, 1089-1109. S. GIOV. DAMASCENO, De fide orth, IV, 14: PG 94, 1153-1161].

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cap. VII. — LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

Scopo del capitolo è porre una linea guida sul culto mariano per superare due difficoltà: • L’accento messo fortemente sui dogmi mariani; • La interpretazione di Maria come “modello di Cristo”

https://www.chiesadilavenomombello.it/items/consiglio_pastorale/29/allegati/Lumen%20Gentium%20-%20riduzione%20ppt.pdf


🔝C A L E N D A R I OHomepage