📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

I servi del Signore e i ribelli 1Mi feci ricercare da chi non mi consultava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: «Eccomi, eccomi» a una nazione che non invocava il mio nome. 2Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro propositi, 3un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, 4abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti. 5Essi dicono: «Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te sono sacro». Tali cose sono un fumo al mio naso, un fuoco acceso tutto il giorno. 6Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me; io non tacerò finché non avrò ripagato abbondantemente 7le vostre iniquità e le iniquità dei vostri padri, tutte insieme, dice il Signore. Costoro hanno bruciato incenso sui monti e sui colli mi hanno insultato; così io misurerò loro in grembo la ricompensa delle loro azioni passate. 8Dice il Signore: «Come quando si trova succo in un grappolo, si dice: “Non distruggetelo, perché qui c’è una benedizione”, così io farò per amore dei miei servi, per non distruggere ogni cosa. 9Io farò uscire una discendenza da Giacobbe, da Giuda un erede dei miei monti. I miei eletti ne saranno i padroni e i miei servi vi abiteranno. 10Saron diventerà un pascolo di greggi, la valle di Acor un recinto per armenti, per il mio popolo che mi ricercherà. 11Ma voi, che avete abbandonato il Signore, dimentichi del mio santo monte, che preparate una tavola per Gad e riempite per Menì la coppa di vino, 12io vi destino alla spada; tutti vi curverete alla strage, perché ho chiamato e non avete risposto, ho parlato e non avete udito. Avete fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco, l’avete scelto». 13Pertanto, così dice il Signore Dio: «Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno e voi resterete delusi; 14ecco, i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per lo spirito affranto. 15Lascerete il vostro nome come imprecazione fra i miei eletti: “Così ti faccia morire il Signore Dio”. Ma i miei servi saranno chiamati con un altro nome. 16Chi vorrà essere benedetto nella terra, vorrà esserlo per il Dio fedele; chi vorrà giurare nella terra, giurerà per il Dio fedele, perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi. 17Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, 18poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. 19Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. 20Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. 21Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. 22Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi, poiché, quali i giorni dell’albero, tali i giorni del mio popolo. I miei eletti useranno a lungo quanto è prodotto dalle loro mani. 23Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno, e insieme con essi anche la loro discendenza. 24Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati. 25Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, e il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte», dice il Signore.

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Approfondimenti

I servi del Signore e i ribelli 65,1-25 Nella sua forma attuale il capitolo si presenta come una composizione strutturata in due sezioni a loro volta suddivise in due parti.

La prima sezione (vv. 1-12) tratta del destino dei ribelli (vv. 1-7) e stabilisce un confronto tra la sorte dei servi di JHwH e quella di coloro che hanno abbandonato JHWH (vv. 8-12).

La seconda sezione (vv. 13-25) prospetta ancora la sorte dei giusti e dei ribelli (vv. 13-16a) per culminare nella descrizione del destino dei giusti (v. 16b-25).

La netta divisione della comunità in due gruppi, completamente assente nella supplica di 63,7-64,11, mostra che il capitolo nella sua forma attuale non costituisce la risposta del Signore alla preghiera riportata nella pericope precedente, anche se il redattore ha cercato di sviluppare numerose connessioni tra i due testi (cfr. 65,1b.24 con 64,6; 65,2c con 63,17a e 64,4b; 65,6 con 64,11b; 65,7 con 64,5b.6d; 65,8-9 con 63,17c). In realtà Is 65 è stato posto, insieme al c. 66, nella redazione finale della «Visione di Isaia» in modo da formare una grandiosa inclusione con il c. 1. Da vari indizi risulta che il brano è costituito dall'aggregazione di diverse pericopi e perciò non forma una unità originaria, ma solo redazionale.

1-7. Un detto di giudizio che riflette la polemica antidolatrica, inserito successivamente tra la conclusione della supplica di 63,7-64,11 e i vv. 8-16a. La pericope, a quanto sembra, risente l'influsso dell'opera del Cronista nella quale la formulazione specifica del comandamento fondamentale è rappresentata dai verbi «cercare» e «ricercare» il Signore. I vocaboli «gente» e «popolo», come si evince dal contesto, non indicano qui l'intera nazione, ma solo un suo gruppo, caratterizzato come «ribelle». La raffigurazione del Signore, che si rivolge a questo gruppo con lo stesso gesto che l'orante assume verso 1l suo Dio (cfr. Sal 143,6; Is 1,15), appartiene alle immagini più efficaci e suggestive della fede biblica. Purtroppo, però, i «ribelli» non hanno accolto il dono incommensurabile dell'amore divino. Una serie di participi offre un quadro realistico delle azioni compiute dai «ribelli». I sacrifici nei boschetti sacri (cfr. 66,17 e 1,29) erano particolarmente connessi con i riti di fertilità (cfr. 57,5). L'offerta dell'incenso, invece, svolgeva un ruolo importante nel culto di JHWH (cfr. Es 30,1-10), perciò il suo uso in altre azioni cultuali ricevette sempre una decisa condanna. L'espressione «sui mattoni» è di incerto significato potendo indicare sia altari costruiti in mattoni, sia mattoni appositamente riscaldati, sia i mattoni dei terrazzi delle case dove si sacrificava per «la milizia del cielo» (cfr. Ger 19,13). L'ultimo significato sembra più probabile in quanto rispecchia una prassi che, sotto l'influsso della religione astrale assiro-babilonese, era largamente diffusa nel mondo semitico. Nei vv. 4-5a JHWH denuncia altre deviazioni cultuali: la negromanzia «abitare nei sepolcri»), il passare la notte in «nascondigli», o “caverne” per avere un oracolo da un demone o un morto (anziché trovare nella parola del Signore la luce del proprio cammino). Il consumare la carne suina (cfr. 66, 3.17) era proibito nella torah, perché connesso con pratiche cultuali idolatriche (come nel culto cananeo di Ugarit). L'ultimo emistichio del v. 4 si riferisce agli alimenti impuri proibiti in Lv 11 e Dt 14.

8-12. Questa pericope, chiaramente delimitata dalla formula iniziale del messaggero (v. 8) e dalla stessa formula che nel v. 13 introduce una nuova unità, pone direttamente a confronto la sorte di coloro che JHWH chiama «miei servi», miei eletti (vv. 8-10) e coloro che hanno «abbandonato il Signore» (vv. 11-12). La caratterizzazione dei servi ed eletti come popolo che «ricerca» il Signore rinvia alla formulazione del comandamento fondamentale vigente al tempo del Cronista (cfr. Sal 105,4-6 // 1Cr 16,11-13). Anche la locuzione «abbandonare il Signore» (v. 11), di stampo deuteronomistico, assume nel Cronista un valore antitetico alla ricerca del Signore e per questo denota coloro che sono venuti meno all'esigenza, propria del comandamento fondamentale, di un'adesione totale, esclusiva e perenne al Signore (cfr. 2Cr 7,11-22, in particolare i vv. 14.22, con il brano parallelo di 1Re 9,1-9). La pericope, quindi, nella sua redazione attuale presuppone l'opera del Cronista e la sua concezione teologica.

11. «Gad»... «Meni»: Gad è un dio siriano, personificazione della fortuna; Meni è una divinità forse simile alla dea Manat dell'arabia preislamica personificazione del destino.

13-16a. Nella linea dei vv. 8-12, la sorte dei fedeli e dei ribelli è presentata con una serie di quattro antitesi (vv. 13-14), cui segue una sentenza che fissa il carattere definitivo dei rispettivi destini (vv. 15-16a). Le quattro antitesi, ognuna delle quali inizia con l'espressione «Ecco, i miei servi», creano un quadro grandioso che accosta alla benedizione, riservata ai servi del Signore, la corrispondente maledizione riguardante coloro che non si sono aperti alla parola divina. Il carattere definitivo della diversa sorte dei giusti e dei ribelli si trova espresso nel v. 15. Il destino dei secondi sarà tale che il loro nome diventerà per gli eletti una formula di maledizione. L'espressione «Così ti faccia morire il Signore Dio» (come fece morire il tale) è probabilmente una glossa marginale che annotava una formula concreta di maledizione (cfr. Ger 29,22). Ai servi del Signore è invece promesso un nome diverso con il quale si esprimerà l'inizio della nuova era caratterizzata dalla salvezza divina (cfr. 62,2). In tale contesto il v. 16b sottolinea che nell'Israele futuro non ci saranno più riti idolatrici, perché si invocherà la benedizione e si giurerà nel nome del «Dio fedele» (propriamente «Dio dell'Amen»), in altri termini si riconoscerà nel Signore l'unica sorgente della benedizione e l'unico fondamento dell'esistenza in tutte le sue manifestazioni.

16b-25. È un detto di salvezza che prospetta il futuro gioioso della nuova Gerusalemme. La struttura del brano è tripartita: annuncio che la tribolazione passata sarà dimenticata (vv. 16b.17b); promessa della salvezza futura vv. 18-19a); caratteristiche della salvezza annunciata (vv. 19b-24). I vv. 17a e 25 sono stati aggiunti in una fase successiva in modo da situare questo detto salvifico per Gerusalemme e Giuda nel contesto di una trasformazione cosmica che rappresenta una tappa molto vicina alla concezione propria dell'apocalittica.

17. E una inserzione successiva che prospetta, in modo iperbolico, un mondo trasformato e rinnovato dall'opera salvifica del Signore. L'attesa esplicita del «nuovo», iniziata con Geremia (Ger 31,31-34), proseguita successivamente con Ezechiele (Ez 36,24-28) e il Deuteroisaia (Is 43,16-21), raggiunge qui una prospettiva teologica di dimensione cosmica. A tale visione si richiamerà la stessa apocalittica per annunciare la fine di questo mondo quale premessa per l'irruzione del “mondo che deve venire”

19b-23. Nella nuova Gerusalemme la gioia avrà come conseguenza la fine di ogni forma di tristezza e dolore (v. 19b; cfr. 35,10; 51,11); cesserà la mortalità infantile, che nell'antichità aveva un tasso molto alto, e gli anziani giungeranno tutti alla «pienezza dei loro giorni» (v. 20a). Il v. 20b è probabilmente una glossa per la quale la longevità non solo sarà accresciuta, ma rivestirà anche un carattere prodigioso. Insieme alla vita nella nuova Gerusalemme ci sarà la piena libertà come indicano i vv. 21-22a, dove è ancora possibile percepire l'amarezza di chi viveva sotto il dominio straniero ed era costretto a lavorare per gli interessi economici e strategici dell'impero e della sua capitale.

24-25. Il v. 24, forse redazionale, forma una grande inclusione con il v. 1. Il Signore, che si lascia trovare da chi non lo cercava, nella nuova situazione salvifica ascolterà ed esaudirà i suoi eletti prima ancora che gli rivolgano la preghiera. Il tempo del silenzio “insensibile” del Signore, che il popolo sperimentava nell'angustia della sua esistenza (cfr. 64, 11), è finito per sempre. Il v. 25 è un'aggiunta che riflette l'intento armonizzatore della redazione finale. La condizione salvifica descritta nei vv. 16-23 (+24) è delineata con l'immagine paradisiaca di Is 11 6-9. La nuova Gerusalemme ha il suo fulcro nel «santo monte» (v. 25) del Signore, che sarà liberato per sempre da chi opera il male e causa lo sterminio (il verbo ha la stessa radice dello «sterminatore» al quale, in Es 12,23b, JHWH non permette di colpire il suo popolo).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[63,19cSe tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti,] 1come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. 2Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. 3Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. 4Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. 5Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. 6Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. 7Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. 8Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. 9Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. 10Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte. 11Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo?

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Approfondimenti

Resterai ancora insensibile? 63,15-64,11

63,19c-64,3*. «Se tu squarciassi i cieli»: l'invocazione ricorre al linguaggio teofanico, simile a numerosi passi della Scrittura (cfr. Es 19,16-18; Gdc 5,4-5; Sal 18,8-16; Ab 3,3-6; Is 66,15-16), perché il popolo si attende che il Signore rinnovi, con un nuovo intervento, la sua potente vittoria sui nemici (64,1; cfr. Sal 82,14-16), vittoria che, per i suo carattere prodigioso, superò ogni attesa (v. 2). Il v. 3 evidenzia il carattere inaudito della salvezza del Signore con un linguaggio che si richiama alla teologia deuteronomistica dell'alleanza (cfr. Dt 4,32-34). Al tempo stesso, in piena aderenza con il contesto della supplica, si presuppone che la “discesa” del Signore, per coloro che lo “attendono” con fiducia, non è solo una realtà del passato, ma un evento che continua a realizzarsi nella storia.

64,4-6. Il Signore visita con la sua salvezza coloro che praticano la giustizia e si ricordano delle sue «vie» (v. 4a). Questa certezza sembra precludere ogni possibilità di salvezza della comunità che ha vagato lontano dalle vie del Signore (cfr. 63, 17) e ora è consapevole della propria colpa e la confessa (vv. 4b-6). Il v. 5 descrive la situazione della comunità con la categoria dell'impurità. La radice ebraica tm' denota l'impurità rituale che impedisce l'accesso al culto (cfr. Lv 12-15) e, in senso traslato, indica la condizione di chi è peccatore (cfr. Is 6,5; Gb 14,4), in particolare la situazione di chi abbandona la fede in JHWH e cade nell'idolatria. Nel nostro versetto il termine è preso nel primo senso, ma con una connotazione chiaramente simbolica. Il popolo non solo è in uno stato di impurità, che di sua natura è temporaneo, ma è diventato addirittura come «una cosa impura», che rimane tale sempre, fino alla sua totale eliminazione. La locuzione «come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia» manifesta la drammatica impossibilità del popolo di avvicinarsi al suo Dio.

7-8a. In netta antitesi a questa condizione di colpa e di morte si erge, vigorosa, la confessione della comunità: «Ma, Signore, tu sei nostro padre». Il tema del Signore padre, si sviluppa nell'immagine di Israele che come argilla è plasmato dal suo Dio (cfr. Ger 18,1-6; cfr. Is 29,16; 45,9) e culmina in una nuova confessione: «tutti noi siamo opera delle tue mani». La proclamazione della paternità del Signore, perciò, si traduce nel riconoscimento della potenza divina dalla quale il popolo è plasmato nella storia, al punto che la sua esistenza è solo il frutto dell'opera del suo Dio. Proprio per questo la confessione di JHWH padre rende possibile invocare l'evento di una nuova creazione. Quando il Signore non ricorda il peccato (e la supplica chiede questo), il popolo non è più sotto l'ira, ma si trova di nuovo nella vita e, quindi, nell'esperienza dell'amore del Signore (cfr. Ger 31,34).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'anno della redenzione del Signore 1«Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». 2«Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». 3«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, 4perché il giorno della vendetta era nel mio cuore ed è giunto l’anno del mio riscatto. 5Guardai: nessuno mi aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva. Allora mi salvò il mio braccio, mi sostenne la mia ira. 6Calpestai i popoli con sdegno, li ubriacai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue».

Supplica comunitaria 7Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d’Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia. 8Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno», e fu per loro un salvatore 9in tutte le loro tribolazioni. Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato. 10Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse loro guerra. 11Allora si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo. Dov’è colui che lo fece salire dal mare con il pastore del suo gregge? Dov’è colui che gli pose nell’intimo il suo santo spirito, 12colui che fece camminare alla destra di Mosè il suo braccio glorioso, che divise le acque davanti a loro acquistandosi un nome eterno, 13colui che li fece avanzare tra i flutti come un cavallo nella steppa? Non inciamparono, 14come armento che scende per la valle: lo spirito del Signore li guidava al riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per acquistarti un nome glorioso.

15Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità, 16perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. 17Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. 18Perché gli empi hanno calpestato il tuo santuario, i nostri avversari hanno profanato il tuo luogo santo? 19Siamo diventati da tempo gente su cui non comandi più, su cui il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti,

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Approfondimenti

L'anno della redenzione del Signore 63,1-6 63, 1-6. Il brano costituisce un'unità in sé conchiusa. La sua forma letteraria è, probabilmente, quella della “domanda della sentinella” dato che le domande, rivolte al personaggio che giunge da Edom, rispecchiano quelle che comunemente sono indirizzate dalle sentinelle a chi si avvicina alla porta della città. Il testo si divide in due parti.

Nella prima (vv. 1-3) l'interpellato risponde manifestando la propria identità divina e proclamando la sua opera di giudizio dei popoli.

La seconda parte (vv. 4-6) è una rielaborazione della prima (cfr. 5a con 3a e 6a con 3b).

Esiste una stretta affinità tra 59,15b-20 e la presente pericope: i due brani, però, non provengono dalla stessa mano. Il nostro testo presuppone quello di 59,15b-20, dato che si muove in un ambito protoapocalittico ed è, perciò, da collocare verso la fine della dominazione persiana o all'inizio di quella greca.

1-3. La tensione creata dalla domanda trova la sua soluzione nella risposta. In essa risuona l'“Io” con il quale il Signore si presenta nei cc. 40-55 come il liberatore e salvatore del suo popolo. L'“Io” di JHWH annuncia la vittoria manifestando la potenza della sua salvezza (v. 1c; cfr. 45,19c). La domanda successiva (v. 2), nella quale la pigiatura nel tino è un'immagine che richiama il giudizio (cfr. Lam 1,15), mira a delineare la portata e il significato della vittoria divina. Con un realismo carico della disperazione degli oppressi il v. 3 descrive il giudizio di JHWH contro tutti popoli. È significativo che la vittoria contro le potenze dell'oppressione non scaturisce da un'azione bellica del popolo del Signore e nemmeno da una nuova potenza mondiale (come nel caso di Ciro per il Deuteroisaia). La speranza della salvezza futura, secondo il presente testo, non favorisce i sogni di una grandezza politica, ma illumina il cammino della storia con la luce della vittoria divina su ogni forma di ingiustizia e violenza.

4-6. Questi versetti specificano il messaggio dei vv. 1-3. Nella vittoria del Signore si realizza il «giorno della vendetta» e l'«anno della redenzione» annunciati in Is 61,2 (v. 4). L'intervento del Signore, che compie da solo l'opera della salvezza, è richiamato con un'espressione simile a 59,16 ed è compreso con le categorie teologiche dell'esodo (v. 5). Infine la descrizione del v. 6 riprende l'immagine del pigiatore, formando un'inclusione con il v. 1. La descrizione delinea un evento che trascende la storia. I popoli non sono qui entità sociopolitiche intramondane, ma espressione del “nemico” che ha macchiato «di rosso» (Edom!) la storia umana. La fine di questo nemico coincide con l'evento apocalittico del mondo nuovo, quando il cammino storico dell'umanità avrà raggiunto la sua meta: la vita nella giustizia e nell'amore. Solo allora la domanda «Chi è costui?» (v. 1) troverà la desiderata risposta.

Supplica comunitaria 63,7-64,11 Si tratta di un salmo di supplica comunitaria. L'allusione al tempio in rovina (cfr. 63,18; 64,10) e la prospettiva teologica qui presupposta, lontana dalla radiosa speranza del Deuteroisaia e più vicina alla concezione deuteronomistica, orientano a collocare il salmo nei primi anni dell'esilio. Il testo si articola in due parti. La prima (63,7-14) richiama gli interventi salvifici del passa-o. Si tratta di un elemento comune ai salmi di supplica; in questo caso, però, esso è particolarmente ampliato, come nel Sal 44 (vv. 2-9) e nel Sal 89 (vv. 2-38), al punto che alcuni lo considerano una unità a sé stante, affine ai salmi storici. La seconda parte (63,15-64,11) contiene la supplica con cui la comunità invoca l'intervento del suo Dio.

Manifestazioni dell'amore del Signore 63,7-14 63,7-9. La preghiera introduce la comunità orante nel pensiero intimo di JHWH che contempla il suo popolo ed è sicuro che i suoi figli non lo tradiranno (v. 8). Alla luce di questo versetto la parola del Signore, che fin dall'inizio della «Visione di Isaia» (1,2) denuncia la ribellione dei figli, assume una forte rilevanza teologica nella strutturazione dell'intero libro. Mosso da un amore che lo pone in un rapporto di totale fiducia con l'uomo, il Signore ha sempre condiviso la sorte del suo popolo. Egli è stato personalmente presente in ogni situazione che rinchiudeva il popolo in una morsa mortale, senza via di scampo («tribolazioni»), ed è stato presente come «salvatore». Nel suo «amore» e nella sua «compassione» il Signore si è fatto carico dei suoi figli innalzandoli con il proprio intervento nello spazio luminoso della vita e della libertà.

10. La locuzione «contristarono il suo santo spirito» sottolinea l'amarezza della delusione del Signore, che nella ribellione del popolo vede traditi il suo amore e la sua fiducia (cfr. l'immagine della donna abbandonata e con lo spirito afflitto di Is 54,67). L'immagine del Signore che diventa nemico e muove guerra costituisce un'interpretazione teologica delle sventure storiche di Israele, in particolare della caduta di Gerusalemme. L'infedeltà del popolo non è solo infrazione di una legge astratta, ma, essendo infedeltà all'alleanza, si configura come “ribellione” del figlio al Padre, come chiusura dell'uomo alla sorgente della vita, allo spirito santo del Signore.

11-14. La preghiera rievoca ora l'atteggiamento del popolo che, nella dura esperienza della schiavitù, ricorda il tempo della salvezza ed è spinto a ritornare al Signore. Il testo si muove nella prospettiva deuteronomistica per la quale ricordare l'esodo come opera del Signore diventa un orientamento fondamentale della fede (cfr. Dt 7,17-19; 8,2-6). Il ricordo della salvezza nel tempo della sventura suscita la domanda: «Dov'è il Signore?». Qui il termine «Signore» è sostituito da cinque participi che, con l'evocazione dei suoi prodigiosi interventi, lo caratterizzano come il Dio dell'esodo. Significativamente la descrizione delle caratteristiche del Signore si conclude nel momento in cui egli apre con la sua potenza una via sugli abissi. Il linguaggio contiene una ricchezza simbolica straordinaria. Il Dio dell'esodo spezza i dinamismi del caos e della morte e dischiude un cammino di liberazione e di vita. Là dove l'uomo sprofonda il Signore fa camminare senza «inciampare»! In tale contesto ricorre, per la terza volta, la menzione dello spirito di JHWH (v. 14). Mentre nelle tradizioni antiche lo spirito del Signore era riferito ai capi carismatici, per connotare la forza singolare di cui erano dotati da Dio (cfr. il caso di Mosè nel v. 11), ora, invece, si attribuisce allo spirito del Signore il fatto che il popolo giunga al «riposo», ossia alla meta del suo esodo, all'esperienza della salvezza. Il Signore guida il suo popolo e manifesta la sua potenza liberatrice («un nome glorioso») mediante il suo spirito che appare come la forza divina che opera la salvezza nella storia. Con queste affermazioni ci troviamo di fronte a una tappa decisiva nella tradizione che parla dello spirito per riflettere sull'essere e sull'agire del Signore. Perciò il testo è fondamentale sia per comprendere le affermazioni della tradizione sapienziale, sia per cogliere lo sviluppo e la specificità della pneumatologia neotestamentaria.

Resterai ancora insensibile? 63,15-64,11 63,15-19b. Il richiamo antitetico alle figure “patriarcali” di Abramo e Isacco mette in luce che la confessione del Signore come «padre» non rinchiude la comunità nel passato, ma la spinge a guardare fiduciosa verso il suo futuro. Il Signore «riconosce» i suoi figli, «si ricorda» di loro e quindi interviene per liberarli (per la connessione tra «ricordare» e «liberare» cfr. il testo simbolico-rituale di Nm 10,9-10). Nel Signore non solo “l'essere sposo” (cfr. Is 54,5), ma anche “l'essere padre” si identifica con il suo essere redentore. Con grande coerenza, quindi, la confessione del Signore padre introduce la domanda: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie?» (v. 17a). Solo la potenza del Signore può liberare il popolo dal cuore «indurito» che gli impedisce di «temere» il suo Dio, ossia di aprirsi a lui con l'orientamento di tutta la vita nell'adorazione e nella fedeltà.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Gerusalemme delizia del Signore 11Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. 2Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. 3Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. 4Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. 5Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. 6Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai. Voi, che risvegliate il ricordo del Signore, non concedetevi riposo 7né a lui date riposo, finché non abbia ristabilito Gerusalemme e ne abbia fatto oggetto di lode sulla terra. 8Il Signore ha giurato con la sua destra e con il suo braccio potente: «Mai più darò il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, mai più gli stranieri berranno il vino per il quale tu hai faticato. 9No! Coloro che avranno raccolto il grano, lo mangeranno e canteranno inni al Signore, coloro che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del mio santuario. 10Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli». 11Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”. 12Li chiameranno “Popolo santo”, “Redenti del Signore”. E tu sarai chiamata Ricercata, “Città non abbandonata”».

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Approfondimenti

Gerusalemme delizia del Signore 62,1-12 Il poema non è di facile interpretazione a causa delle molteplici prospettive che ne caratterizzano la composizione. La stretta affinità tematica e lessicale con i capitoli 60 e 61 orienta ad attribuire anche questo brano al nucleo centrale del messaggio tritoisaiano. La sua struttura è formata da tre unità costruite in modo omogeneo. La prima (vv. 1-5), costituita da una dichiarazione divina (v. 1) e da un commento profetico (vv. 2-5), annuncia Gerusalemme rinnovata dall'amore sponsale del Signore. La seconda unità (vv. 6-7), che inizia con una dichiarazione divina (v. 6a) e prosegue con un'esortazione profetica (vv. 6b-7), prospetta la funzione delle «sentinelle» poste da JHWH a difesa della città. Infine la terza unità, che si presenta con un'analoga articolazione (giuramento divino, vv. 8-9; esortazione profetica fondata sulla promessa divi-na, vv. 10-12), delinea la nuova Gerusalemme allietata e potenziata dal ritorno dei Giudei della diaspora.

1-5. Finisce il tempo del «silenzio» del Signore, secondo la promessa di Is 42, 14, ripresa in 65, 6. Un simile silenzio costituiva un enigma per il popolo (cfr. 57, 11), anzi un tormento che aveva il suo risvolto nella preghiera di supplica (64,11; cfr. Sal 28,1). L'intervento che ora JHWH realizza (cfr. 18,4-5; 65,6-7), ha come obiettivo la «giustizia» di Sion, ossia la sua condizione di salvezza, la sua stabile e sicura potenza («gloria»), nella quale si riflette la gloria del Signore (cfr. 60, 1). La nuova condizione di Sion e del suo territorio («terra»), è espressa con la ricchezza dell'immagine sponsale. La comunità non sarà più chiamata «Abbandonata» (cfr. 54,6; 60,15; per l'uso concreto di questo nome cfr. 1 Re 22,42) o «Devastata» perché priva di figli (ctr. 54,1), ma sarà indicata con i nomi «Mio compiacimento» (per l'uso effettivo di questo nome cfr. 2Re 21,1) e «Sposata» (v. 4a-b). Il valore simbolico di questi nomi appare esplicitato nella dichiarazione finale: il Signore si compiace di Sion, rinnovata dalla sua salvezza e resa sposa feconda di figli (v. 4c). L'immagine sponsale, la cui origine va probabilmente cercata nel culto è ripresa dai profeti per condannare Israele a causa della sua infedeltà, che si configura quindi come adulterio e prostituzione (ctr. Os 1; 3; Is 5,1-7; Ger 3,1-2; Ez 16; 23). Con una sorprendente e consapevole antitesi, la sposa è ora paragonata a una giovane «vergine» che, nel giorno delle nozze, costituisce la «gioia» del suo sposo (v. 5). La gioia “sponsale” del Signore per Sion, rinnovata dal suo stesso amore, e una delle categorie nelle quali si esprime con il massimo vigore la singolare grandezza e profondità della fede di Israele (cfr. Sof 3,17-18a). Il Signore è lo sposo che “costruisce” il suo popolo perché è colui che lo rinnova con la potenza creatrice della sua misericordia (cfr. v. 12 e 54,5-8). L'amore del Signore, in altri termini, dona la “verginità” alla sua sposa! L'infedeltà del passato è allontanata per sempre (cfr. Sal 103, 11-13) e la gioia di colei che non è più «Abbandonata» e «Desolata» (cfr. 54,1; 61,10-11) si fonde ineffabilmente con la gioia dello sposo che “crea” la bellezza della sua sposa (v. 5).

6-7. Il problema di questa unità riguarda l'interpretazione del termine «sentinelle», che hanno il compito di ricordare al Signore le sue promesse. Questa indicazione, che richiama il vocabolario dell'intercessione (cfr. Es 32,11-13), rende molto probabile che il termine «senti. nelle» sia una metafora per indicare i leviti suddivisi in turni per i servizio liturgico del tempio (cfr. 1Cr 24,19) e, in particolare, per la preghiera (cfr. Sal 134,1). Le «sentinelle» non devono mai prendersi riposo affinché la loro supplica salga senza tregua al Signore fino a quando egli ristabilirà Gerusalemme (cfr. 54,14).

8-12. Nella redazione attuale del testo i vv. 10-12 costituiscono un'esortazione profetica che segue alla promessa del Signore, come nelle due precedenti unità. Al tempo stesso essi segnano la conclusione dei capiyoli 60-62 e li connettono, redazionalmente, ai cc. 40-55. Gli abitanti di Sion sono invitati a uscire presto. Non si tratta dell'uscita precipitosa da Babilonia (cfr. 52,11), ma dell'appello a preparare l'arrivo del popolo che giunge dalla diaspora. L'esortazione ad «appianare la strada» (cfr. Is 11, 16; 35,8), quindi a renderla stabile selciandola e liberandola da ogni pietra superflua, ha un senso metaforico (cfr. 40, 3): la comunità è chiamata a rinnovarsi nell'esperienza dell'amore del Signore per essere capace di accogliere tutti coloro che giungeranno attratti dal suo splendore. Costoro, come afferma il v. 12, saranno chiamati «popolo santo» (cfr. Dt 7,6) e «redenti del Signore» (cfr. Sal 107,2; per «redenti» cfr. 35,9; 51,10). Se il primo termine è tecnico per indicare il vincolo familiare che unisce il popolo al Signore, rendendolo sua proprietà, e perciò «santo», la seconda espressione sottolinea l'azione prodigiosa con cui il Signore è intervenuto e interviene per liberare la sua famiglia. I nomi riservati a Sion («Ricerca-ta», «Città non abbandonata») richiamano il messaggio dei vv. 4-5 e pongono la vita del popolo «redento» nella prospettiva meravigliosa della fedeltà del Signore. che cerca sempre la sua sposa per rinnovarla con la potenza del suo amore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giubileo dell'amore del Signore 1Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, 2a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, 3per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria. 4Riedificheranno le rovine antiche, ricostruiranno i vecchi ruderi, restaureranno le città desolate, i luoghi devastati dalle generazioni passate. 5Ci saranno estranei a pascere le vostre greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli. 6Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni. 7Invece della loro vergogna riceveranno il doppio, invece dell’insulto avranno in sorte grida di gioia; per questo erediteranno il doppio nella loro terra, avranno una gioia eterna. 8Perché io sono il Signore che amo il diritto e odio la rapina e l’ingiustizia: io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna. 9Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, la loro discendenza in mezzo ai popoli. Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore. 10Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. 11Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.

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Approfondimenti

Lode dei redenti 61,1-11 Il capitolo si presenta come una composizione redazionale nella quale sono confluite, in un processo di crescita analogo a quello del c. 60, diverse unità. La sua struttura appare così articolata:

  • i vv. 1-3b contengono il racconto di una vocazione profetica;
  • ad essa segue l'annuncio della ricostruzione della città (vv. 3c-4),
  • completato dall'aggiunta relativa agli stranieri posti al servizio della nuova comunità (vv. 5-6);
  • seguono, infine, due promesse di salvezza (vv. 7-8; 9.11),
  • l'ultima delle quali racchiude un canto di lode (v. 10).

1-3b. Questi versetti all'interno dei capitoli 56-66 funzionano come racconto di vocazione e missione. La profondità dell'esperienza che in essi si riflette orienta ad attribuirli a e da ricca personalità profetica, che, con ogni probabilità, è da identificare con il Tritoisaia. L'affinità di questa pagina con i canti del «servo» di JHWH ha indotto in passato alcuni studiosi a scorgervi un quinto canto. L'autore del presente testo si è ispirato ai canti autobiografici del servo, in particolare a Is 49,1-6.

Il profeta interpreta il dono dello spirito con la categoria «dell'unzione». Le persone consacrate mediante l'unzione erano il re, al tempo della monarchia, e il sommo sacerdote, il cui rituale assunse particolare rilevanza e significato nel periodo postesilico (cfr. Es 29,7; 30,22-33). A quest'ultimo allude metaforicamente il nostro profeta, come risulta dal suo richiamo alle tradizioni liturgiche, in particolare a quella del giubileo. Il riferimento all'unzione sacerdotale mostra che il Signore, con la potenza del suo spirito, orienta il profeta all'annuncio della parola (che era appunto uno dei compiti fondamentali del sacerdozio; cfr. Dt 33,10a). Questi è mandato a proclamare il lieto annuncio ai poveri ('ănāwîm), a coloro che hanno come unica sicurezza non il potere politico o le risorse economiche, ma l'abbandono confidente nel Signore (cfr. Sof 3,12-13a).

Il lieto annuncio (cfr. 40,9; 41,27; 52,7; 60,6; Sal 40,10; 96,2) raggiunge una comunità ferita nel proprio intimo, al punto che rischia di perdere la sua identità (per la metafora dei «cuori spezzati» cfr. 57,15; Sal 34,19; 21,19; 69,21; 147,3), e le prospetta «la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri» (v. 1). Il profeta comprende come elemento essenziale della sua missione l'annuncio della libertà a un popolo che rischia di perdere la propria autocoscienza e la propria fede sotto il peso della sua frustrazione (cfr. 58,6).

La ricchezza di questa visione appare soprattutto nel v. 2 dove il profeta identifica, simbolicamente, l'obiettivo della sua missione con la proclamazione del giubileo (cfr. Lv 25,8-10). Egli, quindi, ha coscienza di essere inviato per inaugurare il tempo nel quale il Signore, nella pienezza del suo amore, guida il suo popolo a vivere i valori fondamentali dell'esodo: la fraternità e la libertà. Il carattere definitivo di questo tempo dell'amore del Signore è confermato dalla locuzione parallela «giorno di vendetta per il nostro Dio». Essa connota l'intervento con cui il Signore pone fine al tempo dell'ingiustizia e della violenza e introduce il suo popolo, liberato dagli oppressori, nella nuova condizione della salvezza (cfr. Prv 6,34; Is 34,8; 63,4; Ger 46,10). Il significato esistenziale del «lieto annunzio» è sintetizzato, con un linguaggio ricco di assonanze, nelle antitesi del v. 3ab.

L'inclusione tra lo «spirito mesto» dell'uomo (v. 3b) e lo «spirito del Signore» (v. 1) è molto significativa. La parola del profeta scaturisce dallo spirito di Dio; perciò essa sviluppa la potenza che libera lo spirito umano dall'oppressione e lo innalza alla gioia della lode divina. Nella lode lo spirito dell'uomo sperimenta il giubileo dell'amore fedele e misericordioso del Signore e quindi riscopre le grandi possibilità della sua libertà.

5-6.Questi versetti, probabilmente interpolati, presentano i Giudei aiutati dagli stranieri nella pastorizia e nelle loro attività agricole (i termini «contadini» e «vignaioli» ricorrono insieme anche in Gl 1,11 e 2Cr 26,10). Ad essi spetterà perciò il nome di «sacerdoti di JHWH» (v. 6). Questo titolo, come si evince dalla locuzione parallela («ministri del nostro Dio»), annuncia che il popolo vivrà autenticamente l'alleanza con il Signore e per questo sarà sempre nella sua benedizione, godendo delle ricchezze delle nazioni.

7-11. Riprende di nuovo il discorso che era stato interrotto al v. 4 dall'aggiunta dei vv. 5-6. Il testo conserva due annunci di salvezza che presentano la stessa struttura: promessa (v. 7 e v. 9) e motivazione (v. 8 e v. 11). Forse per enfatizzare la sicurezza della realizzazione dopo la seconda promessa e prima della sua motivazione è stato introdotto il canto di ringraziamento del v. 10. La motivazione del v. 11 si connette al v. 9, come risulta dallo stesso vocabolario. Tuttavia, nell'attuale disposizione del testo, essa suona anche come conferma del canto di ringraziamento. Con un paragone, molto vicino per efficacia e significato a 55,10-11, il profeta conferma che il Signore «farà germogliare» (cfr. 4,2; 42,9; 43,19; 45,8; 58,8) la giustizia. L'esperienza salvifica del popolo avrà la sua espressione specifica nella lode, con cui proclama «davanti a tutti i popoli» le opere meravigliose del suo Dio.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA GLORIA DELLA NUOVA GERUSALEMME

Sion rivestita di luce 1Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. 2Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. 3Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. 4Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. 5Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. 6Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore. 7Tutte le greggi di Kedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiòt saranno al tuo servizio, saliranno come offerta gradita sul mio altare; renderò splendido il tempio della mia gloria. 8Chi sono quelle che volano come nubi e come colombe verso le loro colombaie? 9Sono le isole che sperano in me, le navi di Tarsis sono in prima fila, per portare i tuoi figli da lontano, con argento e oro, per il nome del Signore, tuo Dio, per il Santo d’Israele, che ti onora. 10Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio, perché nella mia ira ti ho colpito, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te. 11Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti e i loro re che faranno da guida. 12Perché la nazione e il regno che non vorranno servirti periranno, e le nazioni saranno tutte sterminate. 13La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi. 14Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante dei piedi quanti ti disprezzavano. Ti chiameranno «Città del Signore», «Sion del Santo d’Israele». 15Dopo essere stata derelitta, odiata, senza che alcuno passasse da te, io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni. 16Tu succhierai il latte delle genti, succhierai le ricchezze dei re. Saprai che io sono il Signore, il tuo salvatore e il tuo redentore, il Potente di Giacobbe. 17Farò venire oro anziché bronzo, farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno, ferro anziché pietre. Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. 18Non si sentirà più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. 19Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. 20Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto. 21Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria. 22Il più piccolo diventerà un migliaio, il più insignificante un’immensa nazione; io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente.

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Approfondimenti

LA GLORIA DELLA NUOVA GERUSALEMME 60,1-62,12 I capitoli 60-62 rappresentano il centro tematico, oltre che poetico, dell'ultima parte della «Visione di Isaia». In essi risuona dall'inizio alla fine un annuncio di salvezza che, se si eccettua l'aggiunta di 60,12, non è interrotto da nessun annuncio di giudizio.

Sion rivestita di luce 60,1-22 Il capitolo 60 è un'unità in sé conchiusa. Il motivo dell'assalto escatologico contro il monte del tempio, inteso come dimora divina e centro del mondo, viene ora superato dall'immagine del pellegrinaggio dei re e dei popoli che si dirigono a Sion per servire JHWH. Al timore di un mondo che rifluisce nel caos primordiale, sotto il peso della sua violenza, si contrappone, in questo capitolo, la gioiosa certezza di un universo che trova nel Signore la meta della propria storia e la sorgente della propria stabilità. Il clima esultante della città che si rinnova e il motivo della ricostruzione delle mura (cfr. vv. 10 e 18) orientano a situare il poema al tempo della riforma di Neemia o poco prima. Il suo contenuto si articola nelle seguenti parti:

  • Sion risplendente di luce (vv. 1-3);
  • pellegrinaggio dei popoli verso il monte del tempio (vv. 4-9);
  • ricostruzione e prosperità di Sion (v. 10-17);
  • JHWH luce del popolo (vv. 18-20);
  • Sion comunità di giusti (vv. 21-22).

1-3. Sion, personificata, è apostrofata direttamente (cfr. v. 14) come nei cc. 40-55. Con un linguaggio che richiama 51,17 e 52,1 essa è invitata a sorgere dallo stato di prostrazione in cui si trova e a rifulgere della «sua» luce. In base al parallelismo sinonimico, risulta che la «luce» di Sion si identifica con la «gloria di JHWH» (v. 1; cfr. 40,5), quindi con la potenza salvifica divina che sta per «brillare» sulla città. L'immagine di Sion, che non solo accoglie la luce, ma la riflette, sviluppa un netto contrasto con le tenebre che caratterizzano l'universo e, quindi, costituiscono l'orizzonte esistenziale delle «nazioni» (v. 2a). Il contrasto è ulteriormente accentuato dall'affermazione del v. 2b che identifica la luce con il Signore stesso e che, insieme al v. 1, forma un'inclusione ricca di espressività. La luce di Sion appare qui una grandezza che circonda le tenebre del mondo e le ingloba. I popoli e i re, dunque l'umanità socialmente e politicamente strutturata, trovano solo in Sion la luce che indica il cammino della salvezza e della vita (v. 3).

4-9. L'annuncio che i figli di Sion verranno «da lontano» (analoga espressione in 49,12) e le figlie saranno «portate in braccio» (v. 4b; cfr. anche 49,22) non si armonizza con la prospettiva universalistica del brano. Si tratta molto probabilmente di un'aggiunta che prospetta la fine della diaspora e il pellegrinaggio dei Giudei al tempio del Signore. Nella forma originale, il v. 5, che era direttamente connesso con il v. 4a, annuncia la gioia «raggiante» (cfr. v. 1) di Gerusalemme al vedere i re e i popoli mentre accorrono a lei offrendo i prodotti provenienti dal commercio marittimo (cfr. «le ricchezze del mare») e «i beni» dei popoli. La breve descrizione che segue (vv. 6-9a) indica i principali luoghi di provenienza delle carovane che si muovono con i loro doni verso il monte Sion.

60,10-18. L'inclusione formata dal motivo delle mura (cfr. v. 10 e v. 18) costituisce una chiara delimitazione della nostra pericope che ha, come tema, la nuova condizione salvifica di Sion. Questa ha il suo segno nelle mura ricostruite (v. 10), nelle porte aperte (anche il motivo delle porte forma un'inclusione, cfr. v. 11 e v. 18b), nel tempio abbellito (v. 13) e, infine, nella pace (vv. 17c-18). La ricostruzione delle mura, realizzata da Neemia, è presentata come il segno che il destino di Sion è mutato. Il Signore, fedele al suo disegno di amore, si manifesta ora come colui che nutre sempre tenerezza per il suo popolo (cfr. 54, 8). L'immagine delle porte «sempre» aperte è il segno evidente di questa sicurezza e delle «ricchezze» che i popoli, guidati dai loro re, porteranno a Sion (v. 11). In questa prospettiva di assidua cooperazione dei popoli in favore di Sion, il v. 12 appare una glossa in quanto si stacca nettamente dal contesto sia per la forma (in prosa) che per il contenuto. La cooperazione dei popoli è vista nel v. 13 in rapporto al luogo del santuario di JHWH. L'espressione «il luogo (o sgabello) dei miei piedi» in origine era riferita all'arca dell'alleanza (cfr. Sal 99,5; 132,7; 1Cr 28,2; Lam 2,1), intesa come simbolo della continua presenza salvifica di JHWH che, mediante l'esodo, libera il popolo e lo innalza fino a sé (cfr. Es 19,4). Questo ricco significato simbolico, dopo che l'arca andò perduta con la distruzione di Gerusalemme, fu trasferito al tempio e il nostro testo, insieme a Ez 43,7, ne è una suggestiva testimonianza. Se le mura ricostruite esprimono la sicurezza della città rinnovata, il tempio è il luogo nel quale la comunità sperimenta la sua appartenenza al Signore e quindi la salvezza divina. I vv. 14-17b continuano la descrizione della grande svolta salvifica. Sion vedrà venire i discendenti di coloro che la oppressero con gli atteggiamenti del vassallo che si prostra davanti al suo sovrano. Questo atteggiamento è indicato in ebraico con un vocabolo che deriva dal verbo «abbassare». Si tratta di un verbo che in 2,9.11.17 connota la vittoria divina sull'orgoglio umano. Anche nel nostro testo questo dato non si limita ad essere una indicazione folcloristica, ma si situa in una prospettiva teologica. I discendenti degli antichi oppressori riconoscono la presenza divina in Sion.

17c-18. Gerusalemme è retta da due valori essenziali (v. 17c): la «pace» (il benessere totale) e la «giustizia» (il contrassegno per eccellenza della salvezza divina; cfr. Is 9,6; 11,4-9; 29,19-21; 32,15-18; 54,14). L'immagine della pace e della giustizia che, personificate, prendono in mano il governo della città, orienta a un futuro nel quale la comunità sarà libera da ogni violenza e vivrà sicura avendo nelle mura la certezza della propria «salvezza» e nelle porte che accolgono i popoli pellegrini il segno della sicurezza e della prosperità («gloria»).

19-20. Sono un'aggiunta di un redattore influenzato dall'apocalittica. Nel pantheon cananeo il sole e la luna erano venerati come divinità (femminile la prima e maschile la seconda). Il nostro redattore reinterpreta il motivo della luce dei vv. 1-3, annunciando che Gerusalemme, rinnovata secondo la promessa, sarà completamente liberata dall'idolatria e perciò non porrà più la propria sicurezza negli astri divinizzati. Solo il Signore sarà luce eterna per Sion. La frase in ebraico presenta, significativamente, la stessa costruzione della formula dell'alleanza; al tema del'alleanza rinviano anche le locuzioni «tuo Dio» e «tuo splendore» (v. 19; cfr. Dt 26,17-19).

21-22. Il v. 21 originariamente proseguiva l'annuncio del v. 18. Il futuro popolo di Gerusalemme, guidato dalla «pace» e dalla «giustizia», sarà costituito nella sua totalità da «giusti» (cfr. 57,1). A questo popolo di giusti è riferito il titolo che in Is 11,1 era riservato al nuovo Davide suscitato dalla radice di Iesse. La comunità è il «germoglio» che si sviluppa come opera della potenza del Signore («delle sue mani») e riflesso del suo splendore. Lo sviluppo è delineato, nel v. 22, con il tema della crescita prodigiosa della popolazione secondo le promesse fatte ai patriarchi (cfr. Gn 17,6; 18,18; 26,4).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Venuta del Signore come redentore 1Ecco, non è troppo corta la mano del Signore per salvare; né troppo duro è il suo orecchio per udire. 2Ma le vostre iniquità hanno scavato un solco fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto per non darvi più ascolto. 3Le vostre palme sono macchiate di sangue e le vostre dita di iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogne, la vostra lingua sussurra perversità. 4Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel nulla e si dice il falso, si concepisce la malizia e si genera l’iniquità. 5Dischiudono uova di serpente velenoso, tessono tele di ragno; chi mangia quelle uova morirà, e dall’uovo schiacciato esce un aspide. 6Le loro tele non servono per vesti, essi non possono coprirsi con le loro opere; le loro opere sono opere inique, il frutto di oppressioni è nelle loro mani. 7I loro piedi corrono al male, si affrettano a spargere sangue innocente; i loro pensieri sono pensieri iniqui, desolazione e distruzione sono sulle loro strade. 8Non conoscono la via della pace, non c’è giustizia nel loro procedere; rendono tortuosi i loro sentieri, chiunque vi cammina non conosce la pace. 9Per questo il diritto si è allontanato da noi e non ci raggiunge la giustizia. Speravamo la luce ed ecco le tenebre, lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio. 10Tastiamo come ciechi la parete, come privi di occhi camminiamo a tastoni; inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo, nel pieno vigore siamo come i morti. 11Noi tutti urliamo come orsi, andiamo gemendo come colombe; speravamo nel diritto ma non c’è, nella salvezza ma essa è lontana da noi. 12Poiché sono molti davanti a te i nostri delitti, i nostri peccati testimoniano contro di noi; poiché i nostri delitti ci stanno davanti e noi conosciamo le nostre iniquità: 13prevaricare e rinnegare il Signore, cessare di seguire il nostro Dio, parlare di oppressione e di ribellione, concepire con il cuore e pronunciare parole false. 14È trascurato il diritto e la giustizia se ne sta lontana, la verità incespica in piazza, la rettitudine non può entrarvi. 15La verità è abbandonata, chi evita il male viene spogliato. Ha visto questo il Signore ed è male ai suoi occhi che non ci sia più diritto. 16Egli ha visto che non c’era nessuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva. Ma lo ha soccorso il suo braccio, la sua giustizia lo ha sostenuto. 17Egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, e sul suo capo ha posto l’elmo della salvezza. Ha indossato le vesti della vendetta, si è avvolto di zelo come di un manto. 18Egli ricompenserà secondo le opere: sdegno ai suoi avversari, vergogna ai suoi nemici; alle isole darà la ricompensa. 19In occidente temeranno il nome del Signore e in oriente la sua gloria, perché egli verrà come un fiume impetuoso, sospinto dal vento del Signore. 20Un redentore verrà per Sion, per quelli di Giacobbe convertiti dall’apostasia. Oracolo del Signore. 21«Quanto a me – dice il Signore – ecco la mia alleanza con loro: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ho posto nella tua bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca dei tuoi discendenti né dalla bocca dei discendenti dei tuoi discendenti – dice il Signore – ora e sempre».

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Approfondimenti

Venuta del Signore come redentore 59,1-21 Se si prescinde dall'aggiunta del v. 21 (in prosa), il capitolo contiene a prima vista uno sviluppo organico: il popolo è accusato delle sue infedeltà (vv. 1-8), si riconosce colpevole (vv. 9-15a) e riceve la promessa della salvezza (15b-20). Le situazioni presupposte dalle tre parti sono però tra loro molto diverse. Inoltre i vv. 5-8 sono un'aggiunta come risulta dal fatto che l'accusa del profeta contro il popolo (vv. 2-4) è reinterpretata e riferita solo al gruppo dei Giudei infedeli.

Il capitolo, quindi, si configura come un'unità redazionale nella quale sono stati connessi tre brani originariamente autonomi: una disputa relativa alla colpevolezza del popolo (vv. 1-4); una confessione dei peccati (vv. 9-15a) e una promessa di salvezza (vv. 15b-20). Il primo e il terzo brano infine sono stati ampliati rispettivamente con l'aspra accusa dei vv. 5-8 e con la solenne promessa del v. 21.

1-4. Il testo suppone una situazione simile a quella di Is 58,3a. La comunità si lamenta mettendo in dubbio sia la potenza («mano») del Signore, sia la possibilità che egli ascolti la preghiera. Il profeta risponde al lamento con parole che richiamano 50,1-3. La situazione problematica che affligge la comunità non ha la sua causa nell'agire di JHWH, ma nella condotta del popolo (v. 1). Nell'affermazione che le colpe del popolo creano una separazione totale e permanente tra lui e il suo Dio (v. 2) si condensa una profonda intuizione. L'autore ricorre qui alla stessa forma verbale che descrive la separazione primordiale tra la luce e le tenebre (Gn 1,1) e tra le acque «sotto il firmamento» e le acque «sopra il firmamento» (Gn 1,7). L'infedeltà spezza il vincolo dell'alleanza e pone il popolo in una situazione polarmente antitetica rispetto al Signore. La conseguenza esistenziale di tale situazione è la mancata salvezza espressa con l'immagine suggestiva del Signore che «nasconde il suo volto». La descrizione delle colpe del popolo (v. 3) focalizza la violenza, la menzogna e la perfidia. Le espressioni, tratte dal linguaggio della tradizione (cfr. 1,15; Sal 101,7; 109,2; 120,2; Gb 27,4), riflettono già la tendenza – molto diversa dall'accusa circostanziata della profezia preesilica – a creare un quadro tipologico della figura dell'empio.

5-8. L'aggiunta si aggancia alla metafora del v. 4b («si concepisce... si genera») per sviluppare un'accusa implacabile contro un gruppo della comunità. Anche se il gruppo non è esplicitamente nominato, si tratta certamente di Giudei che non vivono secondo la torah e perciò appartengono alla categoria degli «empi».

9-15a. Il brano, che in origine era unito ai vv. 1-4 dalla locuzione «Per questo», contiene una confessione dei peccati (vv. 12-15a). La precede una lamentazione nella quale la comunità grida il proprio dolore, carico di amarezza, per la gravità della sua situazione. Una suggestiva inclusione conferisce forte espressività al lamento dei vv. 9-11. La comunità riconosce di non essere ancora raggiunta dall'intervento liberatore («diritto») del Signore e dalla conseguente liberazione («giustizia»). Questa affermazione del v. 9a è riecheggiata dal v. 11b dove si constata l'assenza del «diritto» e la lontananza della «salvezza». Qui i termini «diritto», «giustizia», «salvezza» presentano lo stesso significato salvifico già incontrato nella predicazione deuteroisaiana. In particolare il testo allude quasi sicuramente a 46,13 per sottolineare che la promessa ivi annunciata non si è ancora adempiuta. L'inclusione è resa eloquente dalla tensione che si sviluppa tra la consapevolezza della salvezza, che «è lontana» (cerchio esterno), e l'intensità della speranza («speravamo»), che risulta drammaticamente delusa (cerchio interno). L'amarezza della delusione non sfocia nella disperazione, ma culmina nella confessione dei peccati (vv. 12-13). L'immagine dei peccati che «testimoniano» contro i membri della comunità (o forse «parlano» in essi facendo sentire, insieme alla voce, la loro presenza), accentuata dall'affermazione che le ribellioni sono “con” essi, attesta la profonda prospettiva alla quale la fede di Israele è giunta nella comprensione e nella confessione dei peccati del popolo. I vv. 14-15a contengono una riflessione in terza persona nella quale si delinea la conseguenza di un simile agire. Il vocabolario dei vv. 9a e 11b ricompare ora, ma con il significato consueto, nei cc. 56-66. Il «diritto» e la «giustizia», la fedeltà e la sincerità, vale a dire i valori che caratterizzano la risposta del popolo al dono della salvezza, sono assenti sia nell'ambito privato che in quello pubblico («in piazza»). L'assenza della fedeltà e la persecuzione di chi evita «il male» (v. 15a) lasciano intravedere il baratro nel quale il popolo del Signore sprofonda quando “si ribella” al suo Dio.

15b-20. La pericope si articola in due parti. La prima (vv. 15b-16a) annuncia che il Signore vede la situazione nella quale si trova il suo popolo, mentre la seconda (vv. 16b-20) descrive il suo intervento salvifico. Il detto presenta anzitutto il Signore nella prospettiva della tradizione dell'esodo, richiamata nei salmi di lamentazione. Come il Signore «ha visto» l'oppressione del suo popolo reso schiavo dagli Egiziani (cfr. Es 3,9) ed è invocato, nel tempo di una calamità nazionale, perché «veda» la sua «vigna» (cfr. Sal 80, 15), così ora egli “vede” la situazione di sventura che colpisce il suo popolo (vv. 15b-16a). L'intervento divino è descritto con un linguaggio che si ispira a 63,5. Il Signore interviene da solo con la potenza vittoriosa già manifestata nell'esodo («il suo braccio»), mostrando così che egli è sempre spinto, nel suo agire, dalla fedeltà alle promesse («giustizia») con cui ha suggellato per sempre l'alleanza con il suo popolo. Questo intervento è descritto con i caratteri tipici di una teofania che coinvolge non solo le genti, ma gli stessi elementi della creazione. La lotta vittoriosa contro gli avversari rivela il Signore come «redentore» in quanto libera la sua famiglia «Sion» e si configurano come «quelli di Giacobbe convertiti dall’apostasia» (v. 20). Tale locuzione testimonia una distinzione netta tra il vero Israele, erede delle promesse, e l'Israele fenomenologico, di cui un gruppo rimane ostinatamente ribelle al Signore. Si delinea così una prospettiva densa di conseguenze. L'Israele futuro sarà caratterizzato in modo essenziale dal dono della conversione al Signore.

21. Con un linguaggio simile a quello della redazione sacerdotale (P) il testo annuncia una solenne “promessa” di alleanza. Il tema dello spirito, che richiama Is 61,1, e la locuzione «le parole che ti ho messo in bocca», che rinvia a 50,4 (cfr. anche Ger 1,9), sono fondamentali per comprendere il contenuto della promessa divina. Poiché i testi richiamati si riferiscono a esperienze profetiche ne segue che il versetto, nella linea di Gl 2,28-29, annuncia al popolo rinnovato dalla salvezza divina il dono profetico dello spirito e della parola (cfr. 51,16). Questa promessa, destinata ad attualizzarsi di generazione in generazione, richiama l'alleanza di pace di Is 54,10 e costituisce un importante sviluppo nella tradizione della nuova alleanza (cfr. Ger 31,31-34; Ez 36,24-28; Dt 30,6-14).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il sabato e il digiuno 1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.

2Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3«Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?».

Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso.

5È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? 6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? 7Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? 8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. 9Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, 10se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. 11Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. 12La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni. Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate.

13Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato delizia e venerabile il giorno sacro al Signore, se lo onorerai evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di contrattare, 14allora troverai la delizia nel Signore. Io ti farò montare sulle alture della terra, ti farò gustare l’eredità di Giacobbe, tuo padre, perché la bocca del Signore ha parlato.

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Approfondimenti

Il sabato e il digiuno 58,1-14 Questo capitolo è costruito come una requisitoria di JHWH contro il lamento del popolo. Il nucleo originario è rappresentato dai vv. 1-3a.5-9a. Il profeta denuncia la mancanza di solidarietà con i poveri come causa della situazione del popolo che, nonostante l'osservanza del digiuno, non sperimenta l'intervento salvifico del Signore. I vv. 9b-12 sono molto probabilmente un'aggiunta poiché, nonostante la struttura affine, presentano notevoli differenze rispetto ai vv. 5-9a (nessuna menzione del digiuno, il motivo dell'accusa legale, la contrapposizione esplicita tra luce e tenebre, infine la promessa del v. 12). Un'altra aggiunta è costituita dai vv. 13-14 che sottolineano la necessità dell'osservanza del sabato come condizione perché il popolo possa di nuovo sperimentare la salvezza. Infine anche i vv. 3b-4 rappresentano un interpolazione che applica al giorno dell'espiazione l'insegnamento della giustizia sociale dei vv. 5-9a e, probabilmente, anche il motivo del riposo dei vv. 13-14. Questa aggiunta è, quindi, la più recente nella storia della formazione del testo.

1. L'immagine della tromba (cfr. Os 8,1), che richiama un contesto cultuale, sottolinea non solo che la parola del profeta deve risuonare con forza, ma che il suo messaggio ha di mira l'incontro salvifico del popolo con il suo Dio (cfr. Es 19,16.19). Il tema dell'alleanza costituisce lo sfondo di tutto il messaggio come si evince dai titoli «mio popolo» e «casa di Giacobbe» (cfr. Es 19,3-6).

2-3a. Il v. 2 presenta una costruzione compatta che ha come base una struttura concentrica con la particolarità, però, che il secondo elemento (b) presenta anche lo stesso verbo del quarto (a'): a. Mi cercano ogni giorno b. bramano di conoscere le mie vie, c. come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; b'. mi chiedono giudizi giusti, a'. bramano la vicinanza di Dio. Il popolo cerca ogni giorno il Signore. Il verbo «cercare» non ha qui un significato cultuale (recarsi al santuario), ma esistenziale, come risulta dall'espressione parallela «bramano conoscere le mie vie». Questo desiderio è ripreso con enfasi nell'ultimo stico del v. 2 che sottolinea sia l'aspirazione a conoscere la volontà divina nella vita della comunità e dei suoi membri («giudizi giusti»), sia l'anelito di essere vicini a Dio (cfr. Sal 73,28). Lo stico centrale, che riceve particolare enfasi dalla struttura concentrica del versetto, mostra però che il popolo non ha realizzato il suo desiderio nel concreto della propria esistenza. Grazie alla struttura concentrica, il lamento del popolo per l'apparente insignificanza del suo digiuno (v. 3a) si trova connesso direttamente con la sua sete di essere vicino a Dio.

3b-4. «giorno del vostro digiuno»: si tratta del solenne giorno dell'Espiazione Yôm Kippur nel quale, oltre i riti previsti da Lv 16, erano prescritti sotto pena di morte sia il digiuno, sia il riposo sabatico (cfr. Lv 16,29-31; 23,26-32). I versetti sono un'aggiunta che riprende il messaggio dell'intera pericope e lo applica al giorno dell'espiazione.

5-9a. Si incontra qui la risposta originaria al lamento del popolo contenuto nel v. 3a.

9b-12. Questi versetti sono un'aggiunta che, seguendo la forma dei vv. 6-9a, dà rilievo alla promessa salvifica del Signore precisando ulteriormente le condizioni richieste. Tre di tali condizioni sono negative (v. 9b) e presuppongono il v. 6: rimuovere ogni oppressione sociale («giogo»), le false accuse nei tribunali (è questo il significato dell'espressione tecnica «puntare il dito»; cfr. Prv 6,2-14; Am 5,7) e gli attacchi verbali («il parlare empio») che mirano a distruggere socialmente l'avversario. Le due condizioni positive, che richiamano quelle annunciate nel v. 7, sono espresse nel primo stico del v. 10 con due espressioni tra loro strettamente connesse e cariche di significato: dare all'affamato ciò che appartiene alla propria vita e saziare la vita “piegata” dalla violenza e dall'oppressione. Per coloro che adempiono queste condizioni il nostro testo rinnova le radiose promesse dei vv. 8-9a. La promessa culmina prospettando la ricostruzione delle «antiche rovine». Si tratta dello stesso annuncio che si incontra in 61,4 e in 64,10 e che richiama il programma di ricostruzione e consolidamento della città di Gerusalemme e delle sue mura ad opera di Neemia. Al gruppo fervente dei Giudei che lo coadiuvò si riferiscono i titoli «riparatore di brecce» e «restauratore di strade perché siano popolate», titoli che esprimono sia l'entusiasmo per il nuovo volto che assumeva Gerusalemme, sia la consapevolezza (teologica) di una grande svolta nella storia del popolo del Signore.

13-14. Anche se la struttura di questi versetti («Se... se... se... allora») è simile a quella dei vv. 9b-12, essi sono da ritenere un'aggiunta. Nel quadro di una comunità che sperimenta la salvezza promessa e, quindi, vive orientata ai valori di giustizia e solidarietà annunciati nei vv. 1-12, un autore ha ritenuto importante inserire la necessità dell'osservanza del sabato (cfr. 56, 2) collegando ad essa la realizzazione della salvezza divina. Il sabato appare qui come il giorno santo per il Signore, quindi il giorno di cui il popolo riconosce la “gloria” e nel quale trova la propria «delizia». In altri termini la santità del sabato è la confessione della santità di JHWH e quindi della sua signoria salvifica. L'astensione dal curare i propri «affari» (o “ciò che piace”) è appunto il segno di una «delizia» che scaturisce dal Dio dell'esodo e si esprime nella vita che non si fonda solo sugli interessi economici, perseguiti a ogni costo, ma si costruisce sulla fraternità e sulla solidarietà. E questa la prospettiva dischiusa dalla promessa del v. 14 che, con l'espressione «trovare la delizia nel Signore», delinea l'esperienza di una liberazione che strappa l'uomo dalla schiavitù e dalla morte e lo situa nella via della libertà e della vita.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Perisce il giusto, nessuno ci bada. I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso. Il giusto è tolto di mezzo a causa del male. 2Egli entra nella pace: riposa sul suo giaciglio chi cammina per la via diritta. 3Ora, venite qui, voi, figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta. 4Di chi vi prendete gioco? Contro chi allargate la bocca e tirate fuori la lingua? Non siete voi forse figli del peccato, prole bastarda? 5Voi, che spasimate fra i terebinti, sotto ogni albero verde, che sacrificate bambini nelle valli, tra i crepacci delle rocce. 6Tra le pietre levigate del torrente è la parte che ti spetta: esse sono la porzione che ti è toccata. Anche ad esse hai offerto libagioni, hai portato offerte sacrificali. E di questo dovrei forse avere pietà? 7Su un monte alto ed elevato hai posto il tuo giaciglio; anche là sei salita per fare sacrifici. 8Dietro la porta e gli stipiti hai posto il tuo emblema. Lontano da me hai scoperto il tuo giaciglio, vi sei salita, lo hai allargato. Hai patteggiato con coloro con i quali amavi trescare; guardavi la mano. 9Ti sei presentata al re con olio, hai moltiplicato i tuoi profumi; hai inviato lontano i tuoi messaggeri, ti sei abbassata fino agli inferi. 10Ti sei stancata in tante tue vie, ma non hai detto: «È inutile». Hai trovato come ravvivare la mano; per questo non ti senti esausta. 11Chi hai temuto? Di chi hai avuto paura per farti infedele? E di me non ti ricordi, non ti curi? Non sono io che uso pazienza da sempre? Ma tu non hai timore di me. 12Io divulgherò la tua giustizia e le tue opere, che non ti gioveranno. 13Alle tue grida ti salvino i tuoi idoli numerosi. Tutti se li porterà via il vento, un soffio se li prenderà. Chi invece confida in me possederà la terra, erediterà il mio santo monte.

Promesse di consolazione 14Si dirà: «Spianate, spianate, preparate la via, rimuovete gli ostacoli sulla via del mio popolo». 15Poiché così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. «In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. 16Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. 17Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. 18Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti 19io pongo sulle labbra: “Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò”». 20I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. 21«Non c’è pace per i malvagi», dice il mio Dio.

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Approfondimenti

Capi indegni e progenie idolatra 56,9-57,13 57,1-2 I versetti collegano il detto precedente con quello che segue. A causa dell'irresponsabilità delle guide del popolo, «perisce il giusto, nessuno ci bada». I passi paralleli di Sal 12,2 e Mic 7,2 mostrano che qui ci si riferisce alla violenza degli empi che mirano ad eliminare i giusti. Questa contrapposizione, già attestata nell'opera del Cronista, non si situa a livello sociologico tra empio e povero, come nei profeti preesilici, ma a livello teologico tra coloro che sono venuti meno all'alleanza (empi) e coloro che vi rimangono fedeli.

3-5. Le espressioni «figli della maliarda» e «progenie di un adultero e di una prostituta» indicano che gli apostrofati persistono nelle colpe dei loro padri, già condannate dal profeti: la magia (Is 2,6; Mic 5,11; Ger 27,9) e l'idolatria. Quest'ultima è marchiata con i termini di «adulterio» e «prostituzione» non solo per le pratiche sessuali che ne accompagnavano il culto, ma soprattutto perché era considerata un'infedeltà all'amore sponsale del Signore (cfr. Os 1-3; Ger 3; 3,1-5; Ez 16;23). Il v. 5, forse un'aggiunta analoga a quelle di 1,28-31; 65,3-5.7b.11b; 66,3-7.17, specifica ulteriormente l'accusa menzionando due pratiche idolatriche: i riti sessuali di fertilità e il sacrificio dei bambini. Il plurale «valli» suggerisce che questi sacrifici non erano praticatati solo nella valle di Ben-In-nom, o Geenna (cfr. Ger 2,23; 7,31; Ez 20,26-31), ma anche in altre località.

6-13. L'accusa si riferisce anzitutto a delle pratiche idolatriche nelle valli (le «pietre levigate» alludono forse a emblemi connessi al culto della fertilità) di cui si presenta l'indicibile gravità (v. 6). Il popolo, che ha il Signore come «sua parte di eredità» e suo «calice» (cfr. Sal 16,5), pone la propria sicurezza e il proprio destino nel culto degli idoli. Con il v. 7 la descrizione si sposta su «un monte imponente ed elevato», un monte che riceve gli attributi divini (cfr. Is 6,1) e perciò è l'anti-Sion per antonomasia, il simbolo di tutti gli alti luoghi contaminati dai culti idolatrici. Simili culti sono penetrati addirittura nelle case (v, 8a). Dietro «la porta e gli stipiti», dove avrebbero dovuto essere collocate le parole di JHWH che Israele è chiamato ad ascoltare (cfr. Dt 6,4-9; 11,20), si trova invece un «emblema», simbolo di fertilità secondo la tradizione religiosa cananea. Per il nostro autore ciò è segno di un'infedeltà che non solo ha colpito la società, ma ha raggiunto lo stesso ambito familiare. Il popolo, ormai lontano dal Signore, con un atto di volontaria apostasia ha sostituito l'alleanza che l'univa al suo Dio con numerose espressioni idolatriche caratterizzate da forti componenti sessuali (v. 8bc). Il v. 9 ricorda infine le pratiche cultuali in onore del dio Melek, penetrate in Giuda dalla vicina Fenicia (Tiro), e forse contiene anche un'allusione sarcastica al culto del dio fenicio Mot (Morte) e alle pratiche negromantiche che esso comportava. Questa continua ricerca di nuovi culti idolatrici avrebbe dovuto portare il popolo a comprendere che gli idoli non offrono la sicurezza desiderata (v. 10). Il popolo, però, invece di constatare l'insipienza della propria condotta, vi si è dedicato ancora più assiduamente lasciandosi irretire dai riti a sfondo sessuale e, quindi, dall'illusione di una prosperità immediata (il termine «mano» del v. 10b ha probabilmente lo stesso significato già incontrato nel v. 8c). I vv. 12-13a accennano alla sentenza di condanna. Ricorrendo all'espressione con cui nei Salmi si connota la proclamazione della giustizia salvifica di Dio, l'autore presenta il Signore che annuncia la «giustizia» del suo popolo. Il contesto non lascia dubbi sul significato ironico dell'espressione che, mentre denuncia l'infedeltà del popolo, richiama i prodigi incommensurabili dell'amore divino. Davanti all'intervento del Signore crolleranno le false speranze del popolo infedele, che infatti non troverà la salvezza né nelle sue opere, che alla luce del Signore mostrano la loro inutilità, né nei suoi dei.

Promesse di consolazione 57,14-21 La pericope contiene il primo annuncio di salvezza che si incontra nei cc. 56-66. Benché lo stile presenti notevoli affinità con quello del Deuteroisaia e vi siano vari richiami ai cc. 40-55 (cfr. v. 14 con 40,3; v. 17 con 44,8; v. 18 con 40,1; v. 19 con 43,5-6 e 49,12), il testo appare con un'individualità propria. Il motivo della consolazione (v. 18) orienta a porre la sua composizione in rapporto all'opera di Neemia. Il brano si articola nelle seguenti parti: appello a preparare la via (v. 14); dichiarazione che il tempo dell'ira è finito (vv. 16-17); annuncio dell'intervento divino che guarisce e consola il suo popolo (vv. 18-19); esclusione degli empi dalla promessa (vv. 20-21).

16-17. La parola originaria del profeta compare nel v. 16. Qui il Signore comunica la sua volontà di non conservare per sempre la sua ira perché ogni spirito da lui creato (cfr. 42,5) possa sviluppare la propria vita nella comunione dell'alleanza e quindi nella pienezza dell'amore. Questa profonda riflessione, che ha forse la sua origine con il profeta Geremia (cfr. Ger 3,4.12), si trova ampiamente sviluppata nei salmi postesilici (cfr. Sal 103,3. 8-10; 130,9). In realtà le infedeltà (indicate con un termine che richiama la rapina, e quindi la violenza e l'ingiustizia sociale) avevano spinto il Signore a intervenire per punire il suo popolo v. 17). Oltre le prove sperimentate nella storia e compendiate nella locuzione «l'ho percosso», il testo richiama anche il “nascondimento” di Dio con un linguaggio che rievoca Is 54,7 e che racchiude un significato profondo. Se la confessione del Dio «nascosto» è esperienza somma di salvezza (cfr. 45,15), il silenzio del “nascondimento” divino delinea l'esistenza del popolo che si chiude al dono dell'amore e si ostina a rimanere in balia di se stesso, camminando verso la propria rovina. Gli interventi di JHWH scaturivano, paradossalmente, da un progetto d'amore che mirava alla conversione del popolo. Essi, però, non ottennero l'effetto sperato in quanto il popolo continuò a camminare secondo le proprie scelte («per le strade del suo cuore»).

18-19. In tale contesto si inserisce l'annuncio positivo della salvezza. Il Signore conosce le vie del suo popolo e, proprio per questo, si manifesta ora in modo nuovo (v. 18). Egli non percuote più! Al contrario interviene con amore (cfr. Is 54,7-8) per «guarire» il suo popolo (cfr. Os 6,1; 7,1; 11,3; 14,5; Ger 3,22; 6,14; 30,17; 33,6; Sal 103,3), per «guidarlo» (cfr. Ne 9,12-19; inoltre Es 15,13; Sal 27,11; 31,4; 73,24; 139,2) e per dargli l'abbondanza delle sue consolazioni (cfr. 40,1-2). Sulle labbra di coloro che sono «afflitti», come afferma il v. 18, il Signore crea una parola (frutto delle «labbra») che esprime una realtà nuova: «Pace». Questa promessa, che dischiude l'alleanza di pace (cfr. 54,10) e, quindi, l'era della benedizione (cfr. Nm 6,24-26), riguarda sia i vicini, che vivono in Gerusalemme e Giuda, sia i lontani che si trovano nella diaspora. Il Targum ha reinterpretato la categoria spaziale in prospettiva cronologica. La promessa si riferisce sia al «giusto che ha osservato da sempre la mia legge», sia al «pentito che è ritornato da poco alla mia legge».

20-21. L'annuncio della salvezza è stato successivamente reinterpretato con l'aggiunta dei vv. 20-21. La salvezza promessa, si puntualizza, non riguarda gli «empi» in quanto persistono nella loro apostasia da JHWH e tentano con ogni mezzo di ridurre al silenzio i giusti.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA NUOVA SION E I POPOLI

La salvezza senza frontiere 1Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi». 2Beato l’uomo che così agisce e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male. 3Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». 4Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza, 5io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome più prezioso che figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. 6Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, 7li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». 8Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: «Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati».

Capi indegni e progenie idolatra 9Voi tutte, bestie dei campi, venite a mangiare; voi tutte, bestie della foresta, venite. 10I suoi guardiani sono tutti ciechi, non capiscono nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi. 11Ma questi cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori che non capiscono nulla. Ognuno segue la sua via, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione. 12«Venite, io prenderò del vino e ci ubriacheremo di bevande inebrianti. Domani sarà come oggi, e molto più ancora».

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Approfondimenti

La salvezza senza frontiere 56,1-8 Con questa pericope inizia la terza parte del libro di Isaia (cc. 56-66). Il suo carattere peculiare, quanto al contenuto e alle prospettive teologiche, appare già dal fatto che i termini salvifici dei cc. 40-55 si presentano ora con una nuova accezione (cfr. v. 1b con 46,13; v. 5b con 55,13). Non si tratta di un fenomeno isolato, ma di una reinterpretazione dei capitoli 40-55 che è percepibile in modo quasi sistematico. Il nucleo della nostra pericope è costituito dai vv. 3-7, che sono un insegnamento (torah) profetico relativo all'accoglienza dello straniero e dell'eunuco nella comunità di JHWH. I vv. 1-2 formano un raccordo redazionale tra i cc. 40-55 e i vv. 3-7. Il v. 8 pone i cc. 56-66 nella luce del Signore che «raduna i dispersi di Israele».

1-2. Nel comando di «osservare il diritto e praticare la giustizia» appare una visuale diversa rispetto al Deuteroisaia, che non chiede mai all'uomo di praticare il diritto e la giustizia, ma di attenderli come opera salvifica del Signore. Inoltre nei cc. 40-55 la vicinanza della salvezza (cfr. 46,13) costituisce il messaggio gioioso che apre un futuro di speranza al popolo. Nel nostro testo, invece, la prossimità della salvezza fonda la risposta del popolo, chiamato a rimanere fedele all'alleanza in tutti gli ambiti della sua esistenza.

3-7. Secondo la legge di Dt 23,2-9, gli eunuchi e, salve poche eccezioni, gli stranieri erano esclusi dalla comunità cultuale di Gerusalemme. Il problema si presentò in termini nuovi dopo l'esilio quando in Giuda non solo aumentarono gli stranieri, ma crebbe anche il numero degli eunuchi. Tra coloro che fecero ritorno a Gerusalemme, infatti, si trovavano anche dei deportati che erano stati assunti al servizio della corte babilonese e, successivamente, da quella persiana e che, per questo motivo, avevano dovuto subire la castrazione. Le misure di Neemia e di Esdra, che sanzionarono la separazione della comunità dagli stranieri, contribuirono a rendere la questione ancora più drammatica (cfr. Esd 9,1-2; 10; Ne 9,2). Il v. 3 presuppone il problema sociale e religioso di questi due gruppi e prospetta che il tempo del loro lamento è finito. Il motivo di questo messaggio è indicato, con ordine chiastico, nei vv. 4-5 (per gli eunuchi) e nei vv. 6-7 (per gli stranieri). In entrambi i casi, seguendo uno stesso schema bipartito, si precisano anzitutto le condizioni richieste e, quindi, si proclama la promessa che offre una nuova soluzione al problema.

8. Nell'attuale contesto il raduno dei dispersi di Israele assicura il futuro del popolo dell'alleanza e, conseguentemente, il futuro del tempio, destinato ad essere per tutti i popoli il luogo della comunione con il Signore (cfr. v. 7). Perciò alla proclamazione tradizionale del Signore «che ha fatto uscire il suo popolo dal paese di Egitto» (cfr. Dt 5,6), si affianca ora la formula che confessa JHWH come il Dio «che raduna i dispersi di Israele». L'ardente preghiera di Sal 106,4 e l'attesa di un popolo riunito da tutta la terra (cfr. Ez. 36,24) trovano in questa confessione non solo il proprio fondamento, ma anche la sicurezza di essere esaudite.

Capi indegni e progenie idolatra 56,9-57,13 Nella presente sezione sono raccolti tre detti profetici. Il loro tema è l'annuncio del giudizio: contro i capi indegni del popolo (56,9-12); contro le deviazioni cultuali di natura idolatrica (57,3-5); contro le pratiche idolatriche (v. 5-13a). La loro unione redazionale è stata effettuata con l'aggiunta di 57,1-2.13b. Circa la datazione dei singoli detti, il parere degli esegeti è discorde. A motivo del loro carattere di giudizio alcuni li ritengono preesilici. Tuttavia le motivazioni addotte non sono determinanti dato che il lamento per i capi indegni e la lotta contro le deviazioni idolatriche non terminarono con l'esilio. Il commento indicherà i motivi favorevoli a una datazione postesilica. In ogni caso la loro “composizione” redazionale riflette il periodo in cui nella comunità di Gerusalemme si era già formata la contrapposizione tra i “giusti” e gli “empi”.

56,10-11. Il termine «guardiani» in senso traslato è riferito soprattutto ai profeti (cfr. Os 9,8; Mic 7,7; Ab 2,1; Ger 6,17; Ez 33,2). Il nostro brano denuncia quindi, in primo luogo, la cecità, l'incapacità di discernimento e il silenzio delle guide spirituali, la cui colpa risulta aggravata dalla loro irresponsabile indolenza e inoperosità (v. 10). La stessa condanna riguarda anche i «pastori», cioè i capi della comunità. Anch'essi sono incapaci di discernimento, anzi ciascuno, spinto da avidità, ha di mira non il bene del popolo, ma il proprio tornaconto; detto in altri termini, segue la propria via.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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