📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

L'esempio di Paolo 1Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore. Scrivere a voi le stesse cose, a me non pesa e a voi dà sicurezza. 2Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare! 3I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, 4sebbene anche in essa io possa confidare. Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, io più di lui: 5circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; 6quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile. 7Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. 8Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo 9ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: 10perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, 11nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. 13Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, 14corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. 15Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. 16Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. 17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. 18Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Approfondimenti

(cf LETTERA AI FILIPPESI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Francesco Bianchini © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'esempio di Paolo Con il c. 3 inizia, oltre che la seconda parte della lettera, una seconda serie di esortazioni, basate ancora su un esempio: quello di Paolo, apostolo e fondatore della comunità di Filippi. Se il testo di 2,1-18 incentrato sul modello di Cristo costituiva il primo pilastro della lettera, il brano di 3,1–4,1 rappresenta il secondo con la riproduzione, da parte dell’Apostolo, dell’itinerario del suo Signore.

I vv. 2-4a introducono i protagonisti di tutto il brano: Paolo, Cristo, i Filippesi e, sullo sfondo, gli oppositori. In tal modo, questi versetti preparano l’elogio di sé che Paolo svilupperà a partire dal v. 4b. Cominciando dal v. 4b, nei versetti centrali è posto in risalto l’«io» di Paolo. Al v. 4b si enuncia, a confronto con un rappresentante del gruppo degli avversari, la superiorità di Paolo per quanto riguarda il «confidare nella carne». Le ragioni dell’affermazione vengono fornite nei vv. 5-6, attraverso sette elementi, i quali possono essere divisi in due categorie: i doni ricevuti (primi quattro) e i meriti acquisiti (gli altri tre). Nel loro complesso, questi tratti dell’autoelogio paolino sono presentati in un’accumulazione segnata da un climax ascendente e vanno a costituire un profilo ebraico impeccabile. Tali elementi indicano altresì che, se in seguito Paolo ha scelto Cristo, non lo ha fatto per compensare un suo fallimento nel giudaismo, ma soltanto a motivo di un inaspettato intervento di Dio, il solo capace di sconvolgere la sua ferma e convinta personalità.

I vv. 7-8 enunciano un rivolgimento totale del vanto giudaico precedente. Servendosi di una retorica dell’eccesso, Paolo afferma di essere giunto a considerare quegli eccellenti doni e meriti acquisiti («guadagni») «una perdita», anzi «spazzatura». Per lui tutto ha ormai perso valore. La ragione di tale rivalutazione e mutamento è unicamente Cristo, l’incontro e la conoscenza del Risorto, divenuto per Paolo «il mio Signore».

A loro volta, i vv. 9-11 mostrano ciò che deriva dal radicale cambiamento avvenuto grazie all’incontro con Cristo, quello che è ora importante per Paolo. Anzitutto, una prima conseguenza consiste nell’essere unito a Cristo, con una condizione di giustizia di fronte a Dio basata non sull’osservanza della Legge (cfr. v. 6) ma sulla fede (v. 9). Incontrando il suo Signore, Paolo ha abbandonato il primo principio per abbracciare il secondo così da possedere la propria giustizia cristiana.

Il secondo effetto, conseguente all’incontro con Cristo da parte di Paolo, è l’esperienza attuale della conoscenza e cioè un rapporto quotidiano di comunione con il suo Signore. Ciò comporta il divenire somigliante a Lui percorrendo lo stesso suo itinerario, quello che conduce a sperimentare la potenza della risurrezione anche in mezzo alle sofferenze (v. 10).

Come ultima conseguenza dell’incontro con il Risorto, in Paolo è germogliata la speranza, che non dipende dalla sua volontà ma da quella di Dio, di giungere alla risurrezione finale e quindi alla vita piena (v. 11).

Nell’insieme dei vv. 7-11, Paolo, basandosi sulla folle parola della croce (1Cor 1,18-25), sconvolge i canoni e le convenzioni mostrando le inimmaginabili vie di Dio e la dismisura del suo amore per l’uomo.

I vv. 12-13b pongono una necessaria precisazione per evitare incomprensioni: Paolo non è ancora un perfetto nella vita cristiana; pur cercando di conseguire la meta del proprio itinerario non l’ha ancora raggiunta. Insieme alla coscienza della propria imperfezione che lo avvicina agli ascoltatori (vedi anche l’appellativo «fratelli» al v. 13a), egli è però consapevole di essere stato afferrato da Cristo, e che quindi la sua vita ormai appartiene a lui. I vv. 13c-14 illustrano l’affermazione dei vv. 12-13b, e quindi l’atteggiamento dell’Apostolo, attraverso una metafora agonistica. I vv. 12-14 sono così caratterizzati da un’attenuazione del vanto cristiano di Paolo, presentato con tutta la sua forza ai vv. 7-11. L’Apostolo afferma, trascinando anche i destinatari nel suo impegno, di essere semplicemente in cammino, seppur un tratto di strada lo abbia già percorso grazie alla presa esercitata su di lui da Cristo.

La conclusione esortativa dei vv. 15-16 provvede a un pieno coinvolgimento degli ascoltatori all’interno dell’itinerario paolino, attraverso il passaggio dall’«io» al «noi». Così al v. 15 Paolo si rivolge ai cristiani filippesi ritenendoli maturi nella fede e perciò chiamati ad assumere la mentalità appena mostrata nell’itinerario dell’Apostolo. Se questa è la prospettiva essenziale di cui tener conto, per il resto è lasciato esclusivamente a Dio il compito di illuminare gli ascoltatori attraverso un suo rivelarsi, nel caso di divergenze con Paolo su questioni minori. In definitiva, secondo quanto recita il v. 16, per i Filippesi come per il loro evangelizzatore si tratta di mantenere il livello di vita cristiana raggiunto e di procedere avanti uniti e compatti. Questa conclusione esortativa porta dunque in primo piano il richiamo agli ascoltatori in parte già coinvolti al v. 13a, perché leggano nell’itinerario dell’Apostolo presentato nei vv. 4b-14, la dinamica della loro esistenza cristiana. In piena coerenza con tale finalità, al successivo v. 17 essi sono invitati a imitare lo stesso Paolo.

In 3,4b-16 è descritta la dinamica della vita cristiana di Paolo, segnata dall’incontro e dalla conoscenza con la persona di Cristo. L’itinerario dell’Apostolo riproduce proprio quello del suo Signore, poiché avendo assunto lo stesso atteggiamento e la stessa mentalità legate all’umiltà, segue un itinerario di morte e risurrezione, di spogliamento e innalzamento. Così per Paolo l’avvenimento salvifico paradossale (quello della croce) determina anche la sua situazione e quella di ogni credente come paradossali. Tuttavia il percorso dell’Apostolo non è una copia pedissequa di quello di Cristo, poiché è segnato dall’imperfezione e dall’incompiutezza (3,12-14), anche se, proprio grazie a questi limiti, può proporsi all’imitazione degli ascoltatori, i quali sono invitati a seguire l’impegno del loro evangelizzatore verso la perfezione cristiana. L’esempio di Paolo in questo brano costituisce dunque una ripresa originale di quello di Cristo in 2,6-11 e intende fornire ai suoi destinatari un’indicazione concreta e visibile di vita «in Cristo», espressione della vera mentalità cristiana (cfr. 2,5).

Con i vv. 17-21 si ritorna alla parenesi interrotta, a partire dal v. 4b, dall’introduzione dell’esempio di Paolo. In contrapposizione con l’invito precedente dei vv. 2-4a a fuggire i cattivi modelli, ora si chiede di imitare il buon esempio. al v. 17 si opera un passaggio dal precedente «noi» al «voi», attraverso un’esortazione in positivo, rivolta ai destinatari, a imitare tutti insieme l’Apostolo. Per agevolare questo processo, si esortano i Filippesi a osservare coloro che già si comportano secondo il modello costituito da Paolo e dai suoi stretti collaboratori. Al fine di comprendere questo appello è necessario, liberandosi dalla negativa idea moderna di copia, risalire al concetto di imitazione proprio dell’antichità. Secondo i classici questa nozione non indica una mera riproduzione dell’originale, bensì un processo nel quale si porta a espressione, in base alle proprie capacità, le caratteristiche essenziali di ciò che si imita. Ai Filippesi non è richiesto di “mimare” l’Apostolo, quanto di riprodurre in maniera creativa, secondo le caratteristiche di ognuno, l’itinerario credente del loro modello, mettendo tutto in secondo piano di fronte alla conoscenza e alla relazione con Cristo.

La prima motivazione a sostegno dell’appello all’imitazione di Paolo (vv. 18-19) è costituita, in negativo, dall’incombere del cattivo esempio degli avversari. Come già al v. 2, al v. 18 essi vengono denigrati dall’autore affinché gli ascoltatori – più volte avvisati dall’Apostolo e ora supplicati in lacrime (uso di pathos retorico per indicare un’urgenza) – non ne subiscano l’influenza. Gli oppositori sono descritti come coloro che hanno un comportamento completamente difforme dalla croce di Cristo (cfr. 1Cor 1,18-25). Di conseguenza, al v. 19 Paolo afferma che la loro fine è segnata nella perdizione, il loro signore è il ventre e ciò di cui si gloriano si risolve in vergogna. Essi infatti possiedono una mentalità puramente terrena e non quella propria dei cristiani, avente come punto di riferimento il Cristo stesso (cfr. 2,5).

La seconda motivazione dell’appello all’imitazione di Paolo è espressa in senso positivo e dipende dalla condizione dei Filippesi e di Paolo (e di tutti i cristiani), posti a confronto retorico con il gruppo precedente. Essi, mentre trascorrono la vita terrena, sono governati dal loro Signore celeste di cui sono in fervida attesa come salvatore (v. 20). Egli arriverà un giorno a trasfigurare i poveri corpi dei credenti, segnati dalla debolezza e dalla morte, per renderli conformi al suo corpo glorioso tramite l’energia con la quale il Risorto esercita il suo dominio universale (v. 21).


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L'esempio di Cristo 1Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. 5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. 12Quindi, miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore. 13È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. 14Fate tutto senza mormorare e senza esitare, 15per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, 16tenendo salda la parola di vita. Così nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato. 17Ma, anche se io devo essere versato sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. 18Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me.

L’invio di Timoteo da parte di Paolo 19Spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timòteo, per essere anch’io confortato nel ricevere vostre notizie. 20Infatti, non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda: 21tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. 22Voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il Vangelo insieme con me, come un figlio con il padre. 23Spero quindi di mandarvelo presto, appena avrò visto chiaro nella mia situazione. 24Ma ho la convinzione nel Signore che presto verrò anch’io di persona.

L’invio di Epafrodito da parte di Paolo 25Ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto, fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta e vostro inviato per aiutarmi nelle mie necessità. 26Aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia. **27vÈ stato grave, infatti, e vicino alla morte. Ma Dio ha avuto misericordia di lui, e non di lui solo ma anche di me, perché non avessi dolore su dolore. 28Lo mando quindi con tanta premura, perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più preoccupato. 29Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui, 30perché ha sfiorato la morte per la causa di Cristo, rischiando la vita, per supplire a ciò che mancava al vostro servizio verso di me.

Approfondimenti

(cf LETTERA AI FILIPPESI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Francesco Bianchini © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'esempio di Cristo Il testo di 2,1-18 si divide chiaramente in tre parti:

A. esortazione all’unità eall’umiltà (2,1-5); B. l’elogio di Cristo con valore esemplare (2,6-11); A’. ripresa dell’esortazione (2,12-18).

Così le esortazioni sono motivate a partire dal percorso di Cristo, ma costituiscono anche l’angolatura, la prospettiva con la quale leggerlo. Questo secondo orientamento è ben evidenziato nella richiesta che il «sentire» di Cristo divenga anche il «sentire» dei cristiani (v. 5). L’esortazione vera e propria comincia al v. 2 con la richiesta, diretta ai Filippesi, di rendere piena la gioia di Paolo. Anche qui, come in 1,18, la gioia dell’Apostolo è legata al Vangelo e al suo progresso ma, mentre in precedenza tale progresso derivava dalla presenza di nuovi predicatori, ora dipende dalla crescita spirituale dei destinatari. Così Paolo chiede ai suoi di avere una stessa fondamentale attitudine verso gli altri, la quale si può esprimere in maniera multiforme. Si tratta non di un’omogeneità superficiale che appiattisce le diversità all’interno della comunità cristiana, ma di una profonda armonia di aspirazioni e di intenti. La frase di transizione del v. 5 si muove ancora nella linea esortativa dei versetti precedenti, introducendo però, allo stesso tempo, il brano cristologico e il relativo itinerario di Cristo come il «sentire» (cfr. v. 2), cioè il modo di pensare e di agire, al quale i credenti sono chiamati a riferirsi e a conformarsi nei loro rapporti reciproci. Così, a partire da questo versetto, Cristo è presentato come esempio da imitare.

Il testo di Fil 2,6-11, molto utilizzato dalla tradizione cristiana, pone il lettore di fronte a tutto il mistero pasquale, con la morte e risurrezione di Cristo. Nel passato si era soliti definirlo come inno, considerandolo una composizione liturgica utilizzata dalle prime comunità cristiane e successivamente inserita da Paolo nel tessuto della lettera. Questa prospettiva generale è oggi messa in discussione da molti esegeti. Il brano è facilmente divisibile in due porzioni testuali a causa del «perciò» del v. 9 che segna una chiara svolta. La prima parte (vv. 6-8) descrive il cammino di abbassamento di Cristo, sino alla morte in croce. Cristo è il soggetto attivo e la sua identità è fluida e in continuo movimento; infatti si delinea una doppia trasformazione di Cristo: dall’uguaglianza con Dio alla condizione di schiavo (vv. 6-7a), poi dall’identificazione con l’uomo sino all’umiliazione di se stesso morendo sulla croce (vv. 7b-8). La seconda parte (vv. 9-11) mostra l’esaltazione di Cristo, sottolineando la risposta divina al suo agire e mettendo in campo come soggetti Dio e gli esseri creati. Cristo è oggetto dell’iniziativa divina e riceve un’identità netta e stabile, nella condivisione della signoria universale di Dio. Si presenta la reazione divina che esalta Cristo e che gli dona il nome al di sopra di tutto (v. 9), ma anche quella conseguente del creato nell’adorazione e nella confessione di Cristo, il Signore (vv. 10-11). L’itinerario in due tappe crea un’antitesi tra la dinamica dell’abbassamento e quella dell’innalzamento, tra lo status di schiavo e quello di Signore. Alla fine emerge il paradosso sotteso a questo passaggio: Cristo viene esaltato da Dio, ricevendo la suprema dignità di Signore, ed è da riconoscere in quanto tale proprio perché non ha voluto trarre vantaggio dal suo status divino, ma ha abbassato se stesso, abbracciando la condizione di uno schiavo sino alla morte di croce. Tale supplizio era considerato il più infamante e ignominioso, mai comminato agli uomini liberi; era riservato soprattutto allo schiavo (non solo quando si ribellava) e talvolta anche al prigioniero di guerra o al peggiore dei criminali. In questo modo il brano intende ritrarre l’estremo dell’umiliazione vissuta da Cristo, il quale giunge al gradino più basso della scala umana. Il passaggio di Fil 2,6-11 si rivela dunque come un elogio paradossale che celebra quanto di più lontano potrebbe esserci dall’oggetto della lode umana ed è, al contrario, pienamente conforme all’agire di Dio che, secondo la tradizione biblica (cfr., p. es., Gb 22,29; Pr 29,23; Mt 23,12), esalta chi si umilia.

Il passaggio di 2,12-18, dal tenore prevalentemente, ma non esclusivamente, parenetico possono essere suddivisi in due parti: vv. 12-13 e vv. 14-18. La prima parte presenta un’esortazione a operare per la propria salvezza, mentre la seconda fornisce un’esortazione a evitare mormorazioni e contestazioni, seguita da una descrizione della vita credente e dall’invito a gioire.

L’invio di Timoteo da parte di Paolo Nei vv. 20-22 vengono fornite le ragioni per l’invio di Timoteo, attraverso un fine elogio di quest’ultimo. Con la prima motivazione, presentata al v. 20, il collaboratore viene raccomandato in quanto Paolo non ha nessun altro, presso il luogo della sua detenzione, che abbia così sinceramente a cuore le sorti della Chiesa filippese, in piena coerenza con il ruolo svolto da Timoteo nella fondazione della comunità (At 16,1-15). In effetti, l’Apostolo non trova alcuno adatto a essere inviato a Filippi, perché è circondato da persone che pensano ai propri interessi e non a quelli del Vangelo (v. 21). Complessivamente, siamo di fronte a un vero e proprio confronto retorico tra Timoteo e gli altri cristiani, segnato da una generalizzazione enfatica al fine di porre in risalto la singolare posizione del collaboratore. La seconda ragione per l’invio di Timoteo è costituita dalla prova da lui fornita, di cui i Filippesi sono a conoscenza, nel servizio del Vangelo vissuto in stretta relazione con Paolo (v. 22). Si tratta di un rapporto padre-figlio che esprime l’attaccamento e l’affetto tra i due, ma che è sperimentato nell’ambito del comune impegno per l’annuncio. Questa metafora legata ai legami parentali è utilizzata nelle lettere paoline, oltre che per esprimere la relazione dell’Apostolo con singoli che sono stati da lui evangelizzati e sono divenuti suoi collaboratori (p. es., 1Cor 4,17; Tt 1,4; Fm 10), anche per descrivere il rapporto di Paolo con intere comunità alle quali ha portato l’annuncio della fede (1Cor 4,15; Gal 4,19). Nel suo complesso l’elogio di Timoteo è più di tutto motivato dal fatto che, con la sua esistenza, egli rispecchia il modello di Cristo, assumendo perciò anche un carattere esemplare.

L’invio di Epafrodito da parte di Paolo Nella speranza di poter inviare al più presto Timoteo e nella convinzione di recarsi lui stesso dai Filippesi, per il momento Paolo manda Epafrodito (v. 25). Egli è latore della lettera che intende servire ad alimentare il rapporto tra l’Apostolo e la sua comunità. Come già Timoteo, anche Epafrodito è diffusamente elogiato da Paolo. L’Apostolo intende non solo mettere in rilievo l’utilità della presenza presso di lui di questo collaboratore, che gli ha recato l’aiuto finanziario dei Filippesi con il quale sovvenire alle necessità derivanti dalla detenzione (p. es., lo stato non provvedeva al cibo per il prigioniero), ma anche lodare la stessa comunità di Filippi che ha scelto di inviargli una tale persona. Come avveniva in precedenza per Timoteo, così anche Epafrodito è elogiato soprattutto perché nella sua esistenza ripropone il modello cristologico, assumendo quindi caratteristiche esemplari (v. 30). Infatti egli non solo corrisponde, con la sua opera a vantaggio del Vangelo (vv. 25.30), all’invito a operare così da conseguire la salvezza (v. 12) ma, come Cristo (v. 8), al fine di compiere la sua missione, dona tutto se stesso sino alla morte (vv. 27.30). In definitiva gli elementi elogiativi nei confronti dei due collaboratori utilizzano motivazioni contrarie alla mentalità corrente (preoccuparsi degli altri, servire, donare la propria vita), assumendo quindi una prospettiva paradossale e cominciando così a mostrare che cosa significhi avere lo stesso modo di pensare di Cristo (cfr. 2,5). Tale visione sarà ulteriormente e pienamente sviluppata nel brano seguente di 3,1–4,1, riguardante il cammino di Paolo, autentica riproduzione di quello di Cristo.


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Indirizzo e saluto 1Paolo e Timòteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi: 2grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Ringraziamento iniziale 3Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. 4Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. 6Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 7È giusto, del resto, che io provi questi sentimenti per tutti voi, perché vi porto nel cuore, sia quando sono in prigionia, sia quando difendo e confermo il Vangelo, voi che con me siete tutti partecipi della grazia. 8Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù.

Preghiera di intercessione 9E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Notizie sulla situazione presente di Paolo 12Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, 13al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo. 14In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola. 15Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. 16Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono stato incaricato della difesa del Vangelo; 17quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene. 18Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene.

Ipotesi e riflessioni sulla situazione futura di Paolo 19So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, 20secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. 21Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. 23Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. 25Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, 26affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi.

Esortazione 27Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo, 28senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio. 29Perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 30sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora.

Approfondimenti

(cf LETTERA AI FILIPPESI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Francesco Bianchini © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Indirizzo e saluto La lettera indirizzata alla comunità di Filippi è collocata, all’interno dell’epistolario paolino, nel cosiddetto gruppo delle lettere della prigionia. La dimensione personale e relazionale è peculiare in questa lettera e contribuisce a mettere in risalto i due poli fondanti dell’esistenza dell’Apostolo: il rapporto con Cristo e quello con i cristiani delle sue comunità, prima evangelizzati e poi guidati nel progresso della loro vita di fede. In particolare, il dialogo tra l’«io» dell’autore e il «voi» dei destinatari costituisce un filo rosso che percorre l’intero scritto, che è il più cordiale tra quelli di Paolo, esprimendo tutto il suo affetto per i Filippesi. Il saluto «grazia e pace», pur derivando probabilmente dalla tradizione liturgica cristiana, attesta anche la duplice cultura, ebraica e greca, di Paolo.

Ringraziamento iniziale Rispetto ai ringraziamenti delle altre lettere, in Filippesi Paolo insiste sulla sincerità della sua sollecitudine per i destinatari e sull’orientamento escatologico dell’agire del cristiano. Nei vv. 3-4 si mostra come, tutte le volte che prega, Paolo si ricordi dei Filippesi e ne faccia occasione di ringraziamento a Dio. Il primo motivo per ringraziare Dio è la collaborazione dei Filippesi, dal momento della conversione fino al presente, all’annuncio della buona novella di salvezza (v. 5). In base al contesto della lettera, tale collaborazione è da intendersi sia di natura spirituale (1,27; 2,15-16; 4,3) che materiale (2,29-30; 4,10-20). La seconda ragione per ringraziare sta nel fatto che Dio porterà a compimento l’opera salvifica iniziata nei credenti filippesi dal momento della loro conversione (v. 6). Il futuro della comunità è visto come continuamente segnato dall’azione divina sino all’incontro con il Cristo che viene. Paolo conclude l’azione di grazie al v. 8 con un giuramento, mediante il quale sottolinea la veridicità del suo ringraziamento e dei suoi sentimenti nei confronti di tutti i destinatari.

Preghiera di intercessione Questi versetti si riallacciano in particolare al v. 4, dove Paolo ricordava la sua continua supplica al Signore per i credenti di Filippi. Ora viene esplicitato il contenuto della supplica, che consiste nella crescita qualitativa dell’amore tipico del cristiano. Se l’Apostolo prega che la carità dei destinatari abbondi in conoscenza e tatto è perché essi discernano ciò che risulta più importante, in modo che il loro comportamento li prepari adeguatamente all’incontro finale con Cristo.

Notizie sulla situazione presente di Paolo La sua situazione di prigioniero ha suscitato sicuramente interrogativi angosciosi tra i cristiani, divisi se vedere in essa una smentita o una conferma divina della missione di Paolo. Per questo egli afferma che la sua condizione è paradossale perché l’imprigionamento non impedisce la diffusione del Vangelo; anzi, lo facilita. Il v. 13 mostra una prima ragione per la quale la prigionia dell’Apostolo contribuisce all’avanzamento del Vangelo. Si tratta del fatto che nel pretorio e negli ambienti circostanti tutti sono venuti a sapere che Paolo è in prigione, esclusivamente a motivo di Cristo e del Vangelo che annuncia. D’altra parte, al v. 14 viene data una seconda prova a favore del progresso del Vangelo nell’ambito della carcerazione paolina. Se il contesto precedente era quello pagano, ora è invece quello tipicamente cristiano. La maggioranza dei cristiani della comunità, residente nel luogo dove l’Apostolo è incarcerato, hanno acquisito dalla stessa prigionia di Paolo una maggiore convinzione nella fede per testimoniare senza paura il Vangelo. Il quadro positivo derivante dalla coraggiosa proclamazione del Vangelo è tuttavia incrinato dall’ambivalenza delle intenzioni degli annunciatori, che sono stati appena menzionati. Paolo opera un attento discernimento a proposito di questa opera di evangelizzazione e, alla fine, espone il risultato di tale riflessione al v. 18. Si tratta di un discernimento paradossale perché l’Apostolo, pur non mancando di finezza nel giudicare le intenzioni degli evangelizzatori, afferma come Dio compia la sua opera anche attraverso le menzogne e gli opportunismi degli uomini. Così, senza negare l’ambiguità della situazione, Paolo ritiene che essenziale non è la benevolenza nei confronti della sua persona e neppure la caratura morale di questi annunciatori, ma il progresso del Vangelo.

Ipotesi e riflessioni sulla situazione futura di Paolo Da questo momento l’Apostolo non parla più del passato e del presente ma del suo avvenire. Riguardo alla preferenza tra vita e morte, che il prigioniero si pone di fronte, la scelta da lui operata è in vista non della beatitudine personale, ma del bene delle Chiese. Così Paolo giudica tutto in relazione al Vangelo, anche la sua situazione futura, manifestando il proprio convincimento che essa, in ogni caso, risulterà a vantaggio dell’annuncio con un positivo esito salvifico; di tutto questo egli continua a rallegrarsi. L’Apostolo scandisce le considerazioni riguardo all’avvenire in tre momenti: all’inizio esprime la sua speranza nella salvezza e la sua fiducia di glorificare Cristo (vv. 19-20), poi si pone l’alternativa tra l’essere con Cristo e il lavoro apostolico per le Chiese (vv. 21-24), infine è convinto di rimanere in vita per il progresso dei Filippesi (vv. 25-26).

Esortazione Il brano di 1,27- 30 è costituito da un’unica proposizione in dipendenza da un imperativo iniziale, al quale si saldano gli altri verbi in una connessione a cascata. Da una parte, l’esortazione di 1,27-30 fa seguito alle notizie sulla carcerazione dell’Apostolo, tirandone le conseguenze pratiche: poiché la situazione dei credenti di Filippi è uguale alla sua, egli indica loro come comportarsi in un contesto di persecuzione. Dall’altra, il brano introduce due punti salienti della lettera, cioè l’esortazione a un “pensare” unitario (2,1-18) e l’invito a seguire l’esempio di Paolo, non lasciandosi intimidire dagli avversari (3,1–4,1). Il testo di 1,27-30, segnato da un linguaggio militare (già usato dai filosofi per descrivere la vita morale e religiosa), ha quindi una funzione di cerniera nello sviluppo epistolare. Il brano si conclude al v. 30 con la specificazione che la sofferenza dei Filippesi deriva dal sostenere la stessa lotta per Cristo sostenuta da Paolo, quando era presso di loro e ora nel suo luogo di prigionia. L’Apostolo propone quindi la propria esperienza come paradigmatica per incoraggiare i Filippesi a vivere il suo stesso itinerario a vantaggio del Vangelo. In questo modo l’autore innesca anche quel processo mimetico che avrà molta importanza nell’insegnamento successivamente sviluppato nella lettera.


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Padri e figli, padroni e schiavi 1Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. 2Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. 4E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore. 5Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, 6non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, 7prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. 8Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. 9Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone.

Invito alla lotta 10Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. 11Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. 12La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.

Descrizione dell'armatura spirituale 13Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. 14State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; 15i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; 17prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.

Esortazione alla preghiera 18In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. 19E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, 20per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare.

Conclusione 21Tìchico – fratello carissimo e fedele ministro nel Signore – vi darà notizie di tutto quello che io faccio, affinché sappiate anche voi ciò che mi riguarda. 22Ve lo mando proprio allo scopo di farvi avere mie notizie e per confortare i vostri cuori. 23Ai fratelli pace e carità con fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. 24La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile.

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Padri e figli, padroni e schiavi Come già per i coniugi (5,21-33), l'autore considera i rapporti all'interno della casa non in modo unidirezionale, ma a partire dalla reciprocità: figli/padri e padri/figli, schiavi/padroni e padroni/schiavi (prima mogli/mariti e mariti/mogli). Il comando di obbedire ai genitori si fonda direttamente sul comandamento di onorare i genitori. Quest'ultimo è accompagnato dalla promessa di felicità e di longevità.

Il nostro autore condivide il medesimo rispetto nei confronti dell'assetto sociale vigente, anche se attua una relativizzazione assai significativa. Infatti, pur intimando agli schiavi l'obbedienza, nel definire «terreni» i padroni (alla lettera: «secondo la carne»), non fa altro che circoscriverne e !imitarne l'autorità, subordinandola all'unica sovranità di Cristo. Il vero servizio, infatti, è compiere la volontà di Dio, facendo il bene. Si presenta qui un'innovativa esperienza di libertà interiore, che si manifesta in un servizio non solo di facciata e che viene sintetizzata nell'espressione volutamente paradossale: «servendo... come schiavi di Cristo»(6,6). In ultima analisi ciò che conta è appartenere a Cristo, la cui unica, vera sovranità è garanzia di libertà autentica: la vera ricompensa per il bene compiuto è quella che viene da Lui. I padroni, dal canto loro, debbono metter da parte ogni sistema coercitivo, ricordando che in fondo tra loro e gli schiavi vi è una sorta di fondamentale uguaglianza. Quest'ultima non si fonda sulla comune natura umana ma sull'unico padrone di tutti, il Signore del cielo, di cui viene ricordata l'assoluta imparzialità.

Invito alla lotta L'intimazione a indossare l'armatura di Dio (6,11) implica il dato, non esplicitato, che il cristiano sia un combattente, un soldato, che deve perciò rivestirsi della forza di Dio, perché il conflitto che lo attende non si gioca sui campi di battaglia e con armi terrene, ma su un terreno trascendente e con armi spirituali. Il nemico è il demonio, e non creature in carne ed ossa. Non è la prima volta che l'autore ne parla (cfr. 2,1-3; 4,27), ma vi ritorna diffusamente fornendo non tanto una presunta gerarchia diabolica di segno contrario a una gerarchia angelica, quanto piuttosto un'esemplificazione di manifestazioni di un'unica forza maligna (come in 1,21 e 3,10). «l Principati, le Autorità, i Dominatori di questo mondo oscuro e gli Spiriti malvagi» (6,12) rappresenterebbero in modo cumulativo tutte le entità di natura trascendente, che minacciano la vita dell'uomo e che possono trovare nelle forze catastrofiche della natura o nell'autorità politica opprimente uno strumento concreto della loro ostilità.

Descrizione dell'armatura spirituale Il linguaggio metaforico dell'equipaggiamento militare non è un semplice espediente, giocato per vivacizzare un po' un'illustrazione probabilmente noiosa di alcune virtù. L'autore poteva benissimo menzionare la verità, la giustizia, la prontezza, la fede, ecc. Ma avrebbe perso moltissimo: le sfumature del conflitto e della sfida, l'astuzia del nemico e il pericolo delle sue macchinazioni, l'ardimento e lo slancio che il credente deve mettere nel combattimento. Invece, “gettando” il cristiano nel bel mezzo della mischia, gli fa percepire, quasi sulla sua pelle, la vivacità di una lotta la cui posta in gioco è la sua stessa vita. La forza evocativa e coinvolgente della metafora fa la differenza: si è più incitati allo scontro da una simulazione avvincente e verosimile (p. es., un bel videogioco di judo o di karate), che da un'elegante volume che elogia le arti marziali. L'autore ce lo fa percepire in modo fortemente dinamico: non si tratta di un esercizio di virtù, per quanto impegnativo, ma di un vero e proprio corpo a corpo con il maligno.

Esortazione alla preghiera Non sorprende che affiori qui l'esortazione alla preghiera, che in qualche misura è l'arma spirituale per eccellenza contro il diavolo (cfr. Mc 9,29), preghiera elevata per tutti i credenti (i «santi») e per lo stesso Paolo (con cui l'autore si identifica), il quale, proprio a vantaggio del combattimento che deve affrontare per l'evangelizzazione, chiede che si interceda a suo favore.

Conclusione Il desiderio di restituire ai lettori la testimonianza viva dell'Apostolo, ha fatto sì che l'autore di Efesini ponesse sulle labbra di Paolo un ulteriore, benché rapido, richiamo autobiografico, con il quale rendere partecipi i destinatari della sua situazione; o meglio, sarà Tichico a riferire notizie circa le sue condizioni personali. Ciononostante, l'aver fatto un cenno veloce alle circostanze in cui Paolo si trova, pone l'uditorio nella condizione di sentirsi in diretto contatto con lui.


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Dalla tenebra alla luce 1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. 3Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – 4né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! 5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio. 6Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. 7Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. 11Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. 12Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare, 13mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. 14Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

Colmi di Spirito 15Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, 16facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. 17Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. 18E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, 19intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, 20rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Marito e moglie 21Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. 25E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, 27e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. 29Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, 30poiché siamo membra del suo corpo. 31Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 32Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.


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L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri 1Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, 2con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, 3avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. 7A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. 8Per questo è detto: Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. 9Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. 11Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, 12per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, 13finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. 14Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. 15Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. 16Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

Contrapposizione tra condotta passata e condotta nuova 17Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, 18accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. 19Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità. 20Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, 21se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, 22ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, 23a rinnovarvi nello spirito della vostra mente 24e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. 25Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. 26Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27e non date spazio al diavolo. 28Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. 29Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. 30E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. 32Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Nel passaggio dal c. 3 al c. 4 l'argomentazione da specificamente speculativa si fa più concreta, giungendo a indicare la giusta condotta da tenere. Per essere più precisi: non scompaiono del tutto le considerazioni teologiche ma le sollecitazioni di tipo etico prendono il sopravvento. Si potrebbe dire che il «mistero» come realtà svelata da Dio e conosciuta (cc. 1-3) ora deve penetrare nell'esistenza dei battezzati e divenire vita vissuta (cc. 4-6). Anche il c. 4, come i precedenti, è consacrato al tema dell'unità: la molteplicità dei doni e dei servizi proviene da un 'unica fonte divina e concorre alla crescita unitaria e armoniosa dell'organismo ecclesiale (vv. 1-16). Da questa concezione unitaria della Chiesa derivano, poi, alcuni comportamenti concreti, che descrivono la vita nuova in Cristo (4, 17-5,20).

L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri La concordia ecclesiale non è solo il frutto di una strategia finalizzata a una convivenza pacifica; più precisamente, essa non è motivata da calcoli di opportunità, seppur legittimi, per pianificare rapporti sereni, secondo la spontanea aspirazione dell'uomo alla socialità. Di mezzo, invece, c'è l'iniziativa divina. L'unione dei credenti, dunque, proviene dalla chiamata di Dio. C'è, infatti, una vocazione originaria all'unità, insita nell'esperienza di fede, che precede ogni singolare specifica vocazione. Solo in seguito (dal v. 7) l'autore prenderà in considerazione la peculiarità delle singole chiamate, fondate sui diversi doni del Risorto; prima sente l'urgenza di mettere a tema il fondamento teologico dell'unità ecclesiale. Poi lo sguardo s'allarga, perché dalla Chiesa si passa a considerare il cosmo intero. Qui il pensiero si innalza fino a Dio, perché dal concreto si giunge all'universale: dall'unità della comunità ecclesiale e della sua esperienza battesimale le considerazioni si concentrano sull'unicità di Cristo e poi di Dio, sovrano dell'universo. In qualche modo si parte dagli effetti (l'unità sperata) per risalire alla causa (l'unicità di Dio). Dopo questo sguardo panoramico e onnicomprensivo, dalle dimensioni appunto universali, si torna a puntare sul dettaglio del dono personale. La struttura della comunità, infatti, articolata secondo una diversità di ruoli e di compiti, non è – ancora una volta – conseguenza di una strategia organizzativa, ma è frutto di un'iniziativa dall'alto, secondo un dono di grazia. Con una sola differenza: se prima l'attenzione si focalizzava in ultima battuta su Dio (v. 6), ora l'argomentazione è tutta centrata su Cristo, da cui proviene ogni dono (v. 8). All'interno della comunità ci sono, dunque, ruoli differenti: di governo (apostoli), di esortazione e discernimento (profeti), di annuncio (evangelisti, ma non nel senso degli autori dei quattro vangeli), di guida e di insegnamento autorevole (pastori e maestri), ma tutti sono orientati a un unico scopo, quello di rendere i credenti capaci di servire, perché i l fine è l'edificazione della comunità (v. 12). Quasi a dire che i ministeri nella Chiesa hanno come unica ragion d'essere l'abilitazione di tutti al servizio (diakonía).

Con l'immagine della tempesta si vuole alludere a quegli sconvolgimenti interiori e comunitari prodotti dalla comparsa di opinioni teologiche e morali («ogni vento d'insegnamento»), che mettevano continuamente in discussione il quadro dottrinale sicuro, cui i credenti erano invitati a far affidamento. La regola d'oro cui rifarsi è la «verità nell'amore» (v. 15), perché ortodossia e carità non possono procedere separate. Sia perché la scienza senza l'amore non vale nulla (cfr. lCor 13,2), dal momento che le istanze veritative (ortodossia) separate da quelle della carità non sono sufficienti per la crescita della comunità ecclesiale; sia perché la pratica fattiva dell'amore (ortoprassi) deve ispirarsi a un unico principio veritativo: Cristo stesso, traguardo verso il quale la comunità deve crescere. Interessante poi la dimensione di mutua interconnessione esistente tra i credenti, messa in luce dalla metafora del corpo che si sviluppa grazie all'apporto e allegarne reciproco di ogni singolo membro (v. 16). Solo così la comunità cristiana può edificarsi come corpo di Cristo in stato di perenne crescita.

Contrapposizione tra condotta passata e condotta nuova Il rischio di lasciarsi infantilmente sviare dai venti di dottrina (espresso al v. 14) viene ripreso nella raccomandazione a non condividere l'intelletto ottenebrato dei pagani. Come si può facilmente notare, l'esortazione, che ha di mira un certo tipo di prassi, in prima battuta si preoccupa dei pensieri: è da una certa mentalità che scaturiscono i comportamenti dissoluti (vv. 18-19). Il profilo, dunque, in prima istanza almeno, è dottrinale: prima pensavate in un certo modo, come i pagani, ora non pensate più così.

La metafora dell'indumento potrebbe apparire superficiale ed estrinseca, poiché indossare un abito piuttosto che un altro non cambia certo la persona. In realtà, invece, il messaggio offerto è che ci si debba svestire di un comportamento sbagliato precedente («l'uomo vecchio») per vestire una condotta inedita, originale («l'uomo nuovo»), che si fonda ultimamente su un atto creativo di Dio.

La metafora dell' «indossare», legata alla novità cristologica e variamente declinata a seconda dei diversi contesti, è un tema prettamente paolino: anche in questi casi, contrariamente al senso immediato di estrinsecismo che l'immagine dell'abito può trasmettere, essa veicola visivamente una trasformazione totale e profonda della persona.


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La rivelazione del mistero 1Per questo io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani... 2penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: 3per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui vi ho già scritto brevemente. 4Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. 5Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, 7del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza. 8A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

Preghiera e dossologia 14Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, 15dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, 16perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. 17Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, 18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. 20A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, 21a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

L’apostolo prega perché la Chiesa conosca l’amore di Cristo (3,14-19) Paolo rivolge in preghiera richiesta fiduciosa “al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”, di tre doni particolari per la comunità efesina.

Il primo dono consiste nel rafforzamento dell’uomo interiore: “perché conceda ai cristiani di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore”. Nella visione paolina, l’uomo “esteriore”, che è corporeità, sensitività o pura intellettualità umana, si differenzia dall’uomo “interiore”, che si lascia, invece, guidare e condurre dallo Spirito di Cristo, resiste alle passioni disordinate della “carne” (Rm 8,14) e sa penetrare sempre più nel “mistero di Dio”. È quindi colui che ha ricevuto un’esistenza nuova, un nuovo modo di vivere, passando, grazie al sacramento del Battesimo e alla partecipazione alla comunità cristiana, da una situazione di peccato e di morte alla libertà dei figli di Dio. In altre parole, l’uomo “interiore” è l’uomo “nuovo”, ricreato col Battesimo ad immagine del suo Creatore (Col 3,9-10) e posto nella condizione di poter agire secondo giustizia e verità, vale a dire “in santità di vita”.

Il secondo dono è espresso in forma di augurio: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. Nel cuore dei credenti, là dove già opera la forza dello Spirito di Dio, è indispensabile che Cristo dimori stabilmente. La sua presenza, del resto, inseparabile da quella dello Spirito Santo, deve rimanere e accompagnare l’intera esistenza cristiana. È, infatti, nello Spirito che il Signore Risorto realizza e manifesta la sua vicinanza. Pregare per avere il dono “ che Cristo abiti per la fede nei nostri cuori” e per essere ben “ radicati e fondati nella carità”, significa chiedere una più profonda conformità al Signore Gesù, un lasciarsi davvero illuminare dalla forza trasformante del suo amore verso il Padre celeste e verso i fratelli. La vita cristiana ha, infatti, nell’amore, la sua linfa e il sicuro e l’irrinunciabile fondamento della comunione ecclesiale. L’Apostolo augura quindi ai cristiani di Efeso di poter “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” del “mistero”, e “di conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. Il “comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” è un’espressione cara al mondo antico per indicare una dilatazione insondabile, qualcosa di incommensurabile per la mente umana. L’amore di Cristo, infatti, supera ogni conoscenza, cioè la comunione ecclesiale va al di là di qualsiasi forma di conoscenza, perché sostenuta dalla multiforme sapienza di Dio. Non significa contrapporsi al conoscere, ma permettere di abilitare in noi un nuovo modo di conoscere, con i parametri dell’amore di Cristo. Mettere la mente, l’intelligenza, tra parentesi, impedire di pensare, sarebbe sbagliato e disumano. Imparare a pensare bene, pensare ed agire secondo il pensiero di Cristo, è umanizzante. Paolo vuole sottolineare che solo nell’“amore”siamo in grado di conoscere Colui che altrimenti sarebbe inaccessibile alla nostra mente: soltanto col cuore si riesce veramente a comprendere!

Il terzo dono richiesto per gli Efesini è l’auspicio che possano essere “ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. Ora questa “pienezza” non è altro che Dio stesso e la sua mirabile azione salvifica, la quale tende a realizzare ogni promessa di bene per l’umanità.

Preghiera di lode finale (Ef 3,20-21) La Lettera, iniziata con una preghiera di benedizione, termina questa “prima parte dottrinale” con una preghiera di lode, quasi conferendo all’insieme uno stile liturgico. Sembra suggerire quell’adorazione, arricchita di fervente gratitudine, dovuta a Colui che ha manifestato la sua onnipotenza straordinaria ed efficace verso di noi e per tutti noi. Questa preghiera di lode rivolta a Dio invita a riconoscere la sua visibile presenza, operante nella Chiesa e in Cristo. È una lode che si estende a tutte le generazioni e si prolunga per la durata dei secoli.


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1Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. 3Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. 4Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, 5da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. 6Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. 8Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 10Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. 11Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, 12ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. 14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. 19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.


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Prescritto 1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù: 2grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Benedizione 3Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. 4In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, 5predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, 6a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. 7In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. 8Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, 9facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto 10per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. 11In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – 12a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. 13In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, 14il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Rendimento di grazie e signoria di Cristo 15Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, 17affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. 20Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. 22Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: 23essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

Approfondimenti

In una battuta: quella che viene indicata come la «lettera di san Paolo apostolo agli Efesini», non ha lo stile di una “lettera”, non è stata dettata (né tantomeno scritta) da S. Paolo e non è destinata agli Efesini, tuttavia fa parte del canone del Nuovo Testamento ed è «Parola di Dio».

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Lode a Dio per il suo mirabile piano di salvezza (Ef 1,3) L’inizio della Lettera agli Efesini è una lode solenne al Padre, ricalcando lo stile e il genere letterario delle benedizioni. L’Apostolo, commosso e rapito al pensiero del meraviglioso progetto di salvezza, architettato da Dio fin dall’eternità, prorompe in un suggestivo inno di lode al “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, perché “ha benedetto con ogni benedizione spirituale” i credenti, collocandoli nella sfera celeste accanto a Sé e in unione con Cristo, unico intermediario fra Dio e gli uomini. È, dunque, giusto e doveroso lodare e “benedire” il Padre celeste: è Lui, il protagonista principale, che benedice, sceglie, destina, dona la grazia, fa conoscere e realizza il suo piano di salvezza, mantiene le promesse donando lo Spirito Santo. Ma, in questo stupendo inno di lode, viene ampiamente messo in risalto il secondo protagonista principale, legato al primo in un rapporto intimo e profondo come quello che unisce un figlio carissimo al padre: il “Signore nostro Gesù Cristo”. Tutto ciò che il Padre compie nel mondo e nella storia umana avviene attraverso Cristo: “in Lui ci ha benedetti”, “in Lui ci ha scelti”, “ci ha dato la sua grazia nel Figlio diletto”. Se il Padre ha l’iniziativa di tutto il progetto della salvezza, il Figlio è il Mediatore di tutte le benedizioni divine a favore dell’umanità. È in Cristo, infatti, che Dio Padre ha concepito, realizzato e portato a termine l’intero disegno della redenzione. Per questi motivi, per l’abbondanza dei doni “spirituali” ricevuti, la comunità cristiana di Efeso è chiamata e sollecitata a benedire il Signore.

Eletti per essere santi e figli (Ef 1, 4-6) L’elezione da parte di Dio avviene in Cristo e per mezzo di Cristo, il Figlio amato. È il frutto di un amore eterno, che ci precede e ci ricrea come “uomini nuovi” per mezzo del battesimo. Solo infatti uniti a Cristo si può essere davvero “santi e immacolati”. La vocazione alla santità coincide con il “nostro essere figli” e si raggiunge, si realizza con un vero amore filiale verso Dio e con una coerente testimonianza di fraterno e sincero amore verso il prossimo. La finalità del piano salvifico di Dio consiste, dunque, nell’esaltazione e nella celebrazione della “gloria”del Padre, rivelatasi soprattutto nell’amorevole benevolenza di aver donato all’umanità il suo stesso “Figlio diletto” come Redentore e Salvatore.

Nel Figlio avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo (Ef 1, 13-14) L’Apostolo, rivolgendosi ai destinatari della Lettera, che non appartenevano al popolo ebraico, sottolinea che anche i pagani possono entrano nel processo salvifico, la cui mèta è la liberazione definitiva promessa da Dio e garantita dal dono dello Spirito Santo. Afferma infatti che avendo ascoltato la “parola della verità”, il Vangelo della salvezza, e avendovi aderito con il loro atto di fede e di adesione a Cristo, anch’essi sono divenuti una proprietà esclusiva di Dio mediante il sigillo dello Spirito Santo, impresso dal sacramento del Battesimo. “Sigillo”, col quale sono stati consacrati “a popolo santo” di Dio, e “caparra” data in anticipo, come garanzia dell’immancabile eredità della vita eterna.


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1Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. 2Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. 3Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. 4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. 5Ciascuno infatti porterà il proprio fardello. 6Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. 7Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. 8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. 10Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede. 11Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, di mia mano. 12Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. 13Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la Legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne. 14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. 17D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.


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