Transit

Il blog di Alessandra Corubolo e Daniele Mattioli (on-line, in varie forme, dal 2005.)

Ho visto la luce (Nick Cave & The Bad Seeds – “Wild Good”)

(Nick Cave)

La vita, checché ne dicano coloro che la incensano anche quando non è cosa, la mette giù besa a tutti, prima o poi. Non è che soldi, fama, intelligenza o stupidità ti mettano al riparo. Qui ci sono fantasmi di perdite (il figlio Arthur, Anita Lane...) e di dolore, tanto. Qui ci sono i “Bad Seeds” e anche Warren Ellis (con lui Cave firma tutte la musica del disco), c'è luce, ma sospesa tra le due tenebre di Nabokov.

C'è un'opera che rappresenta una sciabolata nel buio, che porta in sé la speranza dell'oggi, l'unico tempo che possiamo vivere appieno. Il passato non ci deve appartenere più ed il futuro non si può comprendere: ora, adesso, è la sola via. Una strada che Nick Cave abbraccia da par suo. Non dimentichiamoci lo spessore di questo artista, capace [nel tempo, appunto] di valicare gli anni e le storie, capace di scrivere pagine di fulgida e tenebrosa bellezza senza mai scadere nel banale.

Da “Ghosteen” sembra passato un secolo, dagli altri suoi dischi anche di più. In mezzo tanta musica, moltissime parole (seguite il suo sito, “The Red Hand Files”, gioiello di comunicazione) e la vita, la sua, quella di tutte. Nei cori di questa opera sentiamo il desiderio tormentoso di respirare di nuovo. E solo lui può rendere accessibile una canzone come “Conversion”, che in bocca e nelle mani di altri apparirebbe fin troppo magniloquente. La butta là ed è veramente come un girotondo di sollievo.

Le rane che saltano in “Frogs” sembrano tutti noi, così convinti che i nostri sforzi per stare sulla ribalta dell'esistenza siano una cosa seria, ma è un gioco: può essere crudele, ma può anche divertirci, e tanto. Ci sono canzoni oggettivamente belle in sè (“Song of the Lake” e “Wild Good” una dietro l'altra) e altre che ti spezzano letteralmente il cuore (ce l'avete ancora?), come “O Wow O Wow (How Wonderful She Is)”, un quadro di note per Anita Lane, mai dimenticata.

Ci sono bozze di un altra rinascita in “Waters Cover the Sea”, ma è una delle tante di questo disco, una delle infinite che ogni uomo e donna su questa sfigata terra possono concedersi. Ci sono i rimandi a Isaia e San Giovanni, perchè un uomo dalla cultura e dalla sensibilità di Cave non fa questioni di bassa lega e guarda a se stesso nella scrittura, nella ricerca della fede, nella cultura, negli altri.

Ci sono fischi e archi, ci sono chitarre e (ops!) un pochina di elettronica qui e là. E' un disco di un gruppo che si ritrova a suonare assieme dopo qualche tempo, ma con un leggerezza forse inaspettata. Ci sono 41 minuti che vanno ripetuti, riascoltati e in qualche modo assimilati. C'è un pochino della storia di tutti, qua dentro, che solo i grandi artisti sanno cantare per come è, non per come vorremmo che fosse.

C'è tanto Nick Cave, che, in fondo, non basta mai, no?

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(158)

(Fontaines)

Hype per il nuovo disco dei #FontainesDC ne abbiamo? Anche troppo. Cliccate sul link per una CBS più concisa. Il mezzo fa figo.

https://txt.fyi/3ee01a1d1487f41a

#Music #Musica #CamarilloBrilloSessions #Blog

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(157)

(uvdf)

Ingabbiati. E ci stiamo volentieri, là dentro. Internet non è un luogo libero, per come viene vissuto, attualmente, dalla maggioranza delle persone. Meglio. Per come si vivono i #socialmedia adesso (il loro futuro resta meravigliosamente confuso). E' dove si scava maggiormente per stare male e le notizie più veicolate sono quelle tragiche. Si cerca ossessivamente ciò che chi fa paura.

E' nella nostra natura (soprattutto di italiani, io penso) perpetrare l'infelicità, cercare di soddisfare un potentissimo desiderio di abbracciare la morte, le guerre, le disgrazie altrui. E' stato così dall'alba dei tempi, dalle cronache sui papiri o scolpite sulle epigrafi tombali. Niente di più, ma in continuo: un cerchio infinito di disgrazie che si esaltano nella ripetizione dei post, degli articoli, delle immagini.

Tutti contribuiamo, anche perchè così facendo è molto meno arduo che pensare ad altro, di più impegnativo, ma con meno “soddisfazione.” Partendo dall'assioma che la felicità non esiste, pare che il mondo ci stia dicendo che è proprio così. Non riusciamo nemmeno più a ritagliare un paio d'ore in cui non siamo affranti per accadimenti che lo meritano, ma su cui non abbiamo il benchè minimo potere di cambiamento.

Sì, davvero tutto umano, umanissimo. L'unico risultato è non avere che spiragli bui di fuga. Beninteso, ognuno ha la sua strada, il suo discernimento “...puro, cristallino” (cit.) Non faccio la morale. Per quella bisogna essere laureati o avere un paio di milioni di “followers”. Accetto un mondo cambiato, ma che non riusciamo più a migliorare.

La cosa è tristissima, piuttosto sfiancante e molto impegnativa, a tutti i livelli. In fondo ci si abitua tutto, in questo mondo sempre più piccolo, caldo e brutto. Evviva. Possiamo andare avanti come se il futuro fosse una cosa infinita. Proprio senza termine, come il nostro impegno ad essere tristi e incazzati.

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(156)

(Europee)

“La differenza tra una democrazia e una dittatura è che in una democrazia prima voti e poi prendi gli ordini; in una dittatura non devi perdere tempo a votare.” (Charles Bukowski)

E chi se ne fotte, se a votare non ci andate? E chi se ne sbatte se c'è una scusa per fare una cosa e mille per non farla? Ma chi se ne frega delle guerre nel mondo o di chi non ha né pranzo né cena? L' evoluzione ci ha dotati del “libero arbitrio”, anche se nessuno, soprattutto a scuola, non ci spiega che cosa sia e quanto è importante.

Nessuno mi paga (ad una certa età si mercenari su tante cose, sappiatelo) per convincere nemmeno un ubriacone a bere di più. Che le #ElezioniEuropee siano la scusa perfetta per tornare a togliere la polvere dall'ombelico che guardiamo ogni giorno e che si chiama #Italia è certo. E non mi pagano nemmeno per ascoltare tutti i difetti della #UE, tutte le notizie che ci vogliono fare guerra a destra ed a manca o quelle sull'immobilità nei confronti della #Palestina (tanto a leccare i piedi ad #Israele siamo maestri.)

So, come sanno tutti, Tutti sappiamo tutto (a parte tacere). So che io farò come sempre e me ne vado a fare due passi fino al seggio. Per mettere una, due o tre “X” non ci vuole un genio. Perciò ce la posso fare. Poi caffettino in qualche bar carino, che le anime belle che scrivono sui Blog fanno così. Quei segni andranno a favore di chi mi pare. Come ho già scritto (non siete stati attenti, nel passato, lo so) senza più alcuna bandiera, né tessera, né -tantomeno- qualcuno che mi fa sentire in colpa per questo o quel difettino che si ha in politica.

Se vi sembra l'enunciazione dell' “Edonismo Reaganiano” che fu (l'età di cui sopra fa scherzi) e della rinuncia per pigrizia, vi sbagliate, ma pure de brutto. E' una cosa molto più semplice. E' continuare nell'illusione di pensare un po' per i fatti miei. Stessi fatti che mi tengo, con manicale ossessione, per me e i miei cari. Quelli sono importanti. Altri molto meno, a questo livello, non umanamente.

Quella mezz'oretta, Sabato, la dedico a chi farà lo stesso. Agli altri auguro un fine settimana di sole e caldo, al mare o in montagna. Vorrei raccomandare, quando vi troverete intruppati sulla battigia o su qualche sentiero ormai circondato di immondizia, di ridere nei confronti di chi ancora crede in certe cose. Fatelo con gusto. Però io in coda non starò e sorriderò lo stesso. In faccia a un sacco di gente.

#ElezioniEuropee2024 #Opinioni #Blog

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(155)

(IS)

C'è da avere una certa tenerezza nei confronti di chi, con inutile (e falso), stupore, ad ogni fatto di cronaca -brutto, bello, inventato- si lagna degli odiatori sui #socialmedia. Un po' come quelli che si definiscono tifosi, per i quali una squadra è “ragione di vita”: così importante da renderli dei perfetti imbecilli, in un campo dove anche gli imbecilli veri sono realmente degli idioti.

Che, poi, bisognerebbe essere più sottili. Un conto sono quelli che sanno tutto e dispensano pillolone di saggezza che farebbero vergognare chiunque fosse almeno vicino alla soglia minima per poterlo definire intelligente. Un altro sono coloro che continuano a vivere Internet come la loro vera esistenza: uno schifo senza vie d'uscita. E ci sono altri, tanti profili di disagiati che cercano solo un pollice o un cuore in più per svoltare le loro meste giornate.

Il pulpito da cui scrivo è oscurato da tutta una serie di evidenti falli sulla riga: la battuta è quella di uno che ha sbagliato come e molto più di altri. Come nei filmetti degli anni '50, dove tutti erano poveracci, ma bellissimi, la mia redenzione passa attraverso la porta della consapevolezza. Indotta, per quieto vivere, ma sincera perchè il tempo perso è davvero troppo. Se tutto resta, sulla rete, siamo comunque spacciati. Tutti.

Perciò combattere l'odio con e la stupidità con la banalità non è 'sto gran servizio. Si perpetra un'idea di se stessi bianco latte, ma piena di magagne egualmente. Si potrà essere adulati per tre o quattro ore, ma la sostanza non verrà spostata di un commento uno. La guerra è stata persa molto tempo fa, milioni di cazzate or sono. Vale la pena sottolineare che “ambiente tossico” sembra l'unica definizione azzeccata di “X”, “Facebook” e altre menate.

(Mask)

Il declino di tutto questo si compie adesso, e continuerà fino all'esaurimento non dell'idiozia -che si rinnova in automatico-, ma del mezzo in sè. Non sarà domani, ne dopodomani e nemmeno tra cento anni. Arriverà e basta. La gente se ne ricorderà come una cloaca pensata apposta per fare soldi e creare malessere, dove continuiamo a sguazzare. Insieme a quegli illusi che pensano di essere quelli che non si sporcano.

#Blog #Haters #Internet #Rete #Opinioni

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(154)

(Scurati)

Il testo cassato dalla #RAI (o tornerà a chiamarsi “Eiar”?) a #AntonioScurati. Il nostro dovere, civico, morale, intellettuale è quello di continuare a dirci antifascisti in un paese che non vuole seppellire in maniera definitiva un regime miserabile. Contro la destra che vuole un paese muto e asservito. Viva il #25Aprile, festa della liberazione.

“Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola, Antifascismo, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.”

#Italia #FestaDellaLiberazione #Antifascismo

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(153)

(ODR)

Saltando di slancio ogni considerazione teologica, quasi un miliardo di euro per insegnare #religione nelle disastrate, cadenti scuole italiane è l'esemplificazione dell'asservimento di uno Stato. Nettamente. Più di un milione di studenti ha scelto altro, e, per correttezza, va detto che in quegli 859 milioni ci sono anche quelli destinati a loro. Però, se fossero tutti per altro, sarebbe meglio.

Quest'anno, inoltre, ci sarà il concorso per assumere i nuovi docenti della materia. Mentre migliaia di persone -nuovi insegnanti-, che regolarmente hanno passato altri concorsi, tra cui uno nel 2020, si vedono scavalcare da quelli che ci sono riusciti nel 2023, si va avanti: i “Patti Lateranensi” non sono mai stati così vivaci. Niente di meno da #Valditara, un ministro che si sta dimostrando, se fosse possibile, peggio di pochi altri nel suo incarico.

Però, almeno, le nostre radici cristiane vengono salvaguardate, Dobbiamo gioire. Quando la materia più importante sarebbe l'educazione civica, così carente a qualsiasi livello (ad iniziare dalla politica), ci si balocca con favole e moltiplicazioni senza calcolatrice. Mi chiedo, quindi, una cosa. Ma le nostre non sono anche radici che affondano nella storia Romana? Ed allora, perdio, si reintroduca il latino. Così nelle “bio”, sui social, si scriveranno meno cazzate. Sarebbero soldi spesi bene, altrochè. (D.)

#Italia #Scuosla #Istruzione #Opinioni #Laicità

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(152)

(Suviana)

Proviamo a scegliere un registro. Immacolato, oppure già usato, con la possibilità di metterci tutto quello che vogliamo. Immaginiamo di scrivere qualcosa su #Suviana e sulle #mortisullavoro.

Registro del dolore. Difficile da maneggiare. Solo chi deve provare certe cose, certe assenze, certi vuoti può scrivere. Solo chi sa, può usarlo.

Registro dell'empatia. Più accessibile, più semplice. Forse le parole più che la penna, però.

Registro della retorica. Ce ne sono tanti, in giro. Quello dei giornali, quello delle televisioni, quello della politica, quello a buon prezzo. Scontato. Cioè costa poco e vale poco.

Registro sindacale. Bisogna ordinarlo, perchè ce ne sono tanti, ma mai disponibili al momento. Sempre un attimo dopo a quando servirebbero.

Registro delle indignazioni. In Italia se ne fanno, ma venduti quasi per niente. Messi in ombra da quelli artigianali: tutti se ne fanno uno.

Registro degli stupori. E', di solito, venduto insieme ad un pero (albero del), da cui cascano quelli che ci salgono. Ogni volta che accadono certe cose.

Registro delle banalità. Viene fornito con mille pagine già scritte. Quelle da scrivere ammettono anche errori ortografici.

Registro economico. Piuttosto corposo. Contiene cifre molto basse (lavoratori) nella parte sinistra, molto alte (“imprenditori”) nella parte destra. Si usa carta ruvida, perchè sia fastidioso.

Registro delle stupidaggini. Viene fornito insieme al quaderno delle cretinate. Lo passano le mutue.

Registro degli scioperi. “Sì, ma io ho da fare.” “Non posso, Chi mi sostituisce?” “E' uno strumento spuntato.” Utile per le scuse. Degli altri.

(Suviana2)

Registro dei nomi e dei numeri. L' unico che viene sicuramente usato, anche se inutilmente. In media ci si possono scrivere, ogni giorno, tre nomi e tre numeri, per ogni giorno dell'anno. Anche la Domenica, che i lavoratori dovrebbero riposare (direttiva che arriva da molto in alto.) Aggiornato con solerzia e con altrettanta rapidità nascosto, specialmente a chi dovrebbe guardarlo. Non è consigliato farsene trovare addosso: c'è il reale rischio di passare per disfattisti.

#Italia #Lavoro #Opinioni

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(151)

(News)

Nel suo film “La giusta distanza” (del 2007, che sembra un secolo fa), Carlo Mazzacurati narra la vicenda di un giovane, apprendista giornalista, che non riesce, in merito ad un fatto di cronaca, a mantenere la “giusta distanza” dai fatti, come gli ha suggerito il suo mentore. Ovvero non riesce ad approfondire abbastanza quel che accade per averne una visione imparziale, il più possibile corretta e scevra da opinioni ed idee personali: quello che, nella teoria, ogni giornalista dovrebbe tendere a fare nel suo mestiere.

Da parte di molte testate giornalistiche e di TG d'ogni canale è un muoversi nelle direzioni più disparate: dapprima per rimanere “sul pezzo” e, passata la fase di “picco” della notizia, per estendere all'infinito una serie di tematiche, perlopiù allarmistiche e con un alto tasso di sensazionalismo, fino a coprire intere giornate di trasmissione.

E' anche un po' il limite, per esempio, dei canali “All News”, dove per ventiquattro ore al giorno si trasmette ogni sorta di dettaglio, di accadimento, di vocio per coprire la giornata intera. Reiterando all'infinito le stesse cose (non può accadere qualcosa di clamoroso ogni ora), si finisce con il “caricare” la notizia fino allo spasimo, spesso inserendo note di colore che rendono la narrazione volutamente altisonante, pervasiva, angosciante. Una estremizzazione indotta per mantenere lo spettatore attento e soprattutto sintonizzato.

Chiaramente è una maniera d'operare per nulla corretta e, per quanto giornalisti ed opinionisti lo neghino, appare abbastanza chiaro che è un mare in cui a loro piace nuotare. Possiamo comprendere che sia più semplice fare così che mantenere quella distanza di cui sopra: si rischia, magari, la noia o una maniera troppo blanda di porgere le notizie e molte persone amano, inconsciamente o meno, il clamore e la chiacchiera, a discapito di coloro che, invece, vorrebbero leggere o sentire semplicemente ciò che è successo, senza fronzoli.

(News2)

D'altro canto ognuno può essere un amplificatore dei fatti: basta un account su “Facebook” o su “X” dove riprendere e commentare ogni cosa venga detta, magari distorcendo ulteriormente le cose, caricandole con opinioni personali (cui si ha diritto) e facendo rimbalzare tutto ovunque. Una sorta di cerchio infinito in cui la sconfitta è l'informazione di qualità, quella cui dovrebbero sempre ambire tutti. Sarebbe un freno per un mondo già pieno di input, dove siamo “bombardati” senza sosta, senza tregua di cose da seguire.

Un corto circuito permanente d'attenzione e di sovraccarico mediatico. E come ogni cosa portata all'eccesso, è un danno cui, temo, non si possa più porre rimedio, se non con la volontà personale di distaccarsi da questa narrazione sbilanciata, reinserendo nel proprio modo di informarsi una quanto mai necessaria dose di distacco e di ragionamento. Cose difficili da fare, ma non impossibili.

#Informazione #SocialMedia #Giornalismo #News #Italia

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(150)

(1)

Qualche giorno fa, se stavate su “X”, qualcuno avrà saputo di che umore eravate. No, non i vostri “follower”; meglio, non solo. All' “UVM” nel Vermont è stato, già da tempo, messo a punto e migliorato un sistema di indagine denominato “Edonometro”. Detta in soldoni un modello virtuale che analizza l'umore che facciamo trasparire quando inviamo ai nostri amici, o al mondo intero (se vogliamo), un post. Non importa l'argomento o se sia una risposta ad un un altro “cinguettio”: l'edonometro analizza giornalmente cinquanta milioni di tweet e traccia una mappa dei sentimenti espressi sui #SocialMedia. Quindi, almeno in parte, dell'umore di una massa imponente di persone.

L'utilizzo attivo di tale mezzo è ancora abbastanza lontano. Le variabili linguistiche e la difficoltà di un apparato meccanico nell'interpretare le sfumature letterali rendono l'edonometro uno strumento in evoluzione permanente, ma già abbastanza efficace per poter valutare parecchie situazioni generalizzate: sappiamo, quindi, se le cose sono viste con, per esempio, prudenza, o panico, o se, più semplicemente, la gente è arrabbiata e delusa. Appare chiaro come un tale sistema possa, nel futuro (anche se in parte lo sta già facendo) essere assai utile per uno screening psicologico ad uso della sanità pubblica o, più prosaicamente, per indirizzare messaggi pubblicitari sempre più mirati.

(2)

Ma al di là di tali considerazioni ciò che potrebbe farci riflettere sull'immediato è il cambiamento del “mezzo” #Internet, della rete. Se l'affermazione “Il mezzo è neutro: è l'uso che ne fai che lo rende più o meno utile, più o meno pericoloso, più o meno efficace” l'abbiamo recepita, adesso la possiamo ribaltare. Noi siamo il mezzo. L'utente è il mezzo. Chi fa un post non usa solo i Social media: lui è la piattaforma cui guardare. Il suo umore, le parole che usa, l'atteggiamento che ha nei confronti degli altri sono il mezzo. E' un'evoluzione in senso personalistico di internet: è divenuto la rete “delle cose” e chi lo fa girare, chi lo influenza è il singolo, staccato dal resto.

Ciò che potrà divenire questa nuova concezione della rete lo stiamo già scoprendo. Sarebbe utile arrivare ad una consapevolezza piuttosto profonda, intanto, di come noi tutti siamo stati cambiati da questa evoluzione della comunicazione. Renderci conto che si vuole che i nostri sentimenti siano valutabili, spendibili; che ciò che proviamo e che esprimiamo vada al di là della nostra opinione personale e che io, proprio io, sono una rotella dell'ingranaggio. Ci stiamo dentro, non siamo più fuori pensando che le conseguenze si limitino alla “perdita” di follower o di pochi like ai nostri post.

Oltre la gratificazione personale, ci giochiamo perfino l'umore: se stare su “X” o Facebook ci crea ansia e depressione, anche questo disagio ha un suo scopo. E non lo decidiamo. Noi, ingenuamente, continuiamo regalare anima e mente a coloro che vogliono creare persone modellate su un sistema che mira al profitto: potete pensare, se volete, ai bozzoli di “Matrix”, creati per dare linfa vitale al mondo che tutti credono reale. Invece è fittizio, come lo è la notorietà che ognuno di noi pensa o vuole avere. Quasi a tutti costi.

Quindi un mezzo che ingabbia, quasi senza via d'uscita. E tutti, tutti sanno che la porta che conduce al vero cambiamento non è quella di un PC, ma della vita: occorre definirla “reale”? A quanto pare sì. Ed è quella in cui le idee, i confronti, gli scontri, le chiacchiere, lo stato umorale di altri e tutto ciò che ogni giorno incessantemente vogliamo far sapere (ed è un bene, spesso, sia chiaro) devono tradursi in atti, in fatti. Azioni che migliorino noi stessi e la società, prima che tutto si confonda irrimediabilmente. Là fuori.

Piccola nota personale. Centocinquanta post, se non si scrive per mestiere, possono essere tanti. In effetti l'impegno è discontinuo, ma anche bello. Proprio perchè non obbligato. Grazie soprattutto alla mia amatissima moglie Alessandra, per la pazienza e per avermi fatto capire, a forza di dai, la profonda vacuità di tutto questo, che era e resta un esercizio personale per non addormentarsi.

Le foto sono di Lasse Hoile.

#Rete #Opinioni #Post #Blog

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