𝓟𝓮𝓷𝓼𝓲𝓮𝓻𝓲 𝓭𝓮𝓵𝓵𝓪 𝓢𝓮𝓻𝓪

Il viaggio di un'anima. Un diario segreto che nessuno leggerà.

Qualche giorno fa mi hanno consigliato di guardare “The social dilemma”, documentario presente su Netflix, realizzato nel 2020, nel quale si racconta il “dietro le quinte” dei social media di META. Sono un informatico dal 1986, e conoscevo già le dinamiche, le manipolazioni, gli algoritmi e gli scopi che sono alla base di tali social. Li ho visti nascere. Ebbene, lo scopo principale non è unire le persone, creare nuove amicizie o mettere in contatto persone lontane. Lo scopo principale è fare soldi.

Nella società americana si rincorre il mito del successo. Se non hai successo sei un fallito. Ed il successo si insegue ad ogni costo, il fine giustifica i mezzi, e una persona vale solo se ha tanto danaro.

Il rispetto? la coerenza? l'amicizia? l'amore? sono cose obsolete. Bisogna fare danaro, ma tanto danaro, anche sulla pelle delle persone.

Fabebook, Twitter, Whatsapp, all'inizio erano social bene o male gestibili, riuscivi a configurarli in modo che non invadessero più di tanto la tua privacy, ma adesso sono diventati solamente un cibo tossico, che ti avvelena giorno dopo giorno e ti risucchia tempo ed energie.

La mia generazione, che ancora si ricorda come era il mondo prima dei social, ha la responsabilità di tirare fuori i giovani da questi grandi tritacervelli che sono diventati i social media.

Dobbiamo ripeterlo ogni giorno, dirlo in famiglia, nelle scuole, nelle riunioni, in qualunque ambito ce ne sia data occasione. Fate cancellare le app di META dai telefoni della vostra famiglia. Iniziamo ognuno dalla propria cerchia, lo so che troverete resistenza, come la sto trovando io, ma non dobbiamo arrenderci. Anche se ormai i cervelli sono stati programmati per andare in ansia senza FB o WA o IG o TikTok, solo noi possiamo riuscirci. Noi che eravamo già adulti e non siamo stati influenzati dalle manovre psicologiche dei social media, è solo nostra la responsabilità.

Cosa fareste se qualcuno desse del cibo avariato ai vostri figli, intossicandoli giorno dopo giorno? restereste a guardare?

Eppure è quello che sta succedendo, e noi stiamo accettando tutto questo passivamente.

Fate vedere il documentario a più persone possibili, aprite i loro occhi, proponete app alternative (Signal, Element, Mastodon, ecc. ). Se social deve essere, almeno sia un social dove la gente socializza davvero, dove ci sono gli amici, dove posso interagire senza paura che qualche algoritmo o qualche AI mi stia riprogrammando il cervello, inculcandomi il bisogno di un prodotto del quale non ho affatto bisogno.

Non c'è molto tempo, davvero. Grazie

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

Scrivo questa mia esperienza, perché prima di consigliare qualunque cosa ad amici e parenti, sono solito provarla personalmente sulla mia pelle.

Dopo aver visto il documentario “The Social Dilemma” su Netflix, che racconta il dietro le quinte dei social media di META, mi sono talmente arrabbiato e sono rimasto talmente disgustato che ho deciso seduta stante di eradicare qualunque prodotto META dal mio telefono.

Non che sia stata una sorpresa assoluta in quanto, essendo “vecchio informatico”, i vari FB, Twitter/X, IG ecc. li ho visti nascere. Sono nel ramo informatico da quando c'erano ancora le schede perforate, i disk-pack e i nastri magnetici, cose che voi probabilmente avete visto solamente nei documentari storici alla TV.

Ero consapevole delle manipolazioni che venivano realizzate da quelle società della Silicon Valley, oggi denominate Big Tech, che oggi sono solamente delle macchine per creare denaro. Ma la misura è colma, sono stati presi da deliri di onnipotenza e credono addirittura di potersi sostituire a Dio.

Questo è un breve diario del mio percorso di disintossicazione da quella sostanza velenosa che sono le app di META.

Primo giorno: mando un messaggio WA a tutta la mia lista di amici, dicendo che per motivi di privacy non lo avrei più utilizzato. Chi volesse contattarmi, avrebbe potuto utilizzare Signal, o SMS o una semplice telefonata. Dopo un paio d'ore, solo qualcuno mi chiede il perché, tutti gli altri mi mandano un semplice “ok”. Quindi procedo a cancellare completamente l'account con cancellazione di backup e di qualunque cosa potesse essere stata salvata. Subito dopo disinstallo la app.

Nel secondo passaggio, disinstallo FB senza avvisare nessuno (visto che ormai ho capito che non importa a nessuno). Mi assicuro che non ci siano servizi META nascosti in esecuzione e riavvio il telefono.

Ce l'ho fatta, sono uscito da questa ruota da criceto che mi costringeva a scrollare all'infinito notizie idiote, di gente idiota, su una app che mi succhiava dati e tempo libero.

Secondo giorno: cerco di convincere la mia famiglia ad installare Signal per messaggiare con me. Le persone adulte, pur con qualche resistenza, lo hanno fatto. Mio figlio e mia nipote, entrambi ventenni, si sono rifiutati categoricamente. Preciso che non gli ho detto di cancellare FB o WA, gli ho detto semplicemente di installare una nuova app per messaggiare con me. La cosa già inizia a puzzare di bruciato, perché sono ragazzi che installano la qualunque senza problemi.

Terzo giorno: mi prende un mal di testa strano, ma prendo un'aspirina e tutto si risolve per il meglio.

Quarto giorno: mi metto in testa di convincere anche i miei colleghi di lavoro. Nei nostri discorsi infilo sempre la questione social, ed anche se tutti sono d'accordo con me, cercano di convincermi che è una guerra persa. Dicono proprio così: “E' inutile, è una guerra persa, che fai ti isoli? stanno tutti là sopra”.

Quinto giorno: ormai sono entrato completamente nella parte “guru indiano”, ho deliri di onnipotenza, credo di essere il solo ad aver aperto gli occhi. Dopo qualche ora, la mia parte razionale si fa un bagno di umiltà e decido di non cercare di convincere più nessuno, ma di dire semplicemente le cose come stanno. Del resto non posso salvare il mondo da solo.

Sesto giorno: la sera vado a letto ma non riesco a prendere sonno, durante la notte mi viene da piangere, senza un motivo apparente, penso ai miei figli e a tutti quei ragazzi nelle grinfie delle “Big Tech” che li stanno trasformando in zombie per i loro sporchi profitti. Inizio a pensare ad una strategia di attacco.

Settimo giorno: durante la notte mi prende un sentimento di amore per tutto l'universo e per poco non decido di prendere i voti per andare a chiudermi in un convento a pregare. La mia parte razionale mi parla e mi fa: “Attenzione, questi sono segnali di una disintossicazione da droghe”. In effetti, mi riprometto di non prendere alcuna decisione importante, prima che siano passati almeno due mesi.

Ottavo giorno: sto in pace, niente notifiche di FB, niente notifiche di gruppi WA con buongiorno, video scemi e cose inutili. Prendo il mio lettore di eBook ed inizio a leggere la biografia di Geronimo, capo Apache, scritta quando era già anziano e confinato in una riserva indiana. Mi colpisce la seguente frase: “Non avrei mai dovuto accettare la resa, avrei dovuto combattere fino alla fine”.

Nono giorno: mi sento bene, ogni tanto ho mal di testa ma passa da solo dopo poco. Sono molto più tranquillo e rilassato, sorrido alle persone e inizio a riprendere il contatto con la realtà. Dopo un grosso e difficile lavoro su apparecchiature informatiche, un collega ed amico se ne esce con questa frase: “Io sono personalmente e fortemente convinto, che la determinazione e la volontà di raggiungere un obiettivo, insieme alla convinzione di poterlo fare, siano fondamentali per il suo successo” (Antonio Sorrentino).

Decimo giorno: riconosco e sono consapevole che ho dovuto affrontare un percorso di disintossicazione come una qualunque persona dipendente da droghe, nonostante io usassi raramente FB e WA solo per i messaggi essenziali, e nonostante avessi un cervello molto adulto (sono quasi sui 60 anni).

Ho voluto raccontare il mio percorso, che non interesserà a nessuno, per dirvi che l'uscita dalla app META non sarà per nulla facile, in quanto i “signori” delle Big Tech hanno giocato con la dopamina e con il meccanismo di attesa / ricompensa, per drogarci di una sostanza che non proviene dall'esterno, ma che viene prodotta dal nostro stesso corpo. E sono andati talmente in profondità nella programmazione del nostro cervello, che il solo pensiero di installare una app alternativa causa attacchi di ansia e senso di smarrimento.

Ora è il momento storico per uscire dalla gabbietta del criceto, ora che esiste ancora una generazione che si ricorda come era la vita prima del “rullo” dei social media.

Grazie

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

Ci sono giornate nelle quali non hai voglia di fare niente. O meglio, vorresti fare chissà cosa ma non trovi la forza di farlo. Quando mi sento così, come oggi, sento tutto il peso degli effetti dei medicinali e della mancanza di ormoni, dovuti alla cura che dovrò seguire forse per tutta la vita.

Per me avevo immaginato una vita diversa, una vita di amore passionale e travolgente con la mia compagna. Immaginavo vacanze, crociere, weekend romantici in qualche rifugio sui monti, a mangiare carne secca e birra tedesca. Siamo sempre stati una coppia unita, che faceva tutto insieme, che si capiva al volo. La nostra intesa era perfetta ed eravamo anche un pò invidiati dalle altre coppie, che dopo due o tre anni già erano “scoppiate”.

Invece la vita e le mie cure mi hanno tolto sempre di più l'entusiasmo di fare qualunque cosa. Hanno raffreddato la mia voglia di stare insieme alla mia compagna di vita. L'amore è divenuto platonico, anche se internamente, nel cuore, la amo sempre come il primo giorno.

La passione è stata sostituita da una leggerezza rispettosa, che non ha entusiasmo, ma tutto riflette dentro, tutto conserva nel cuore.

La vita mi ha tolto tutto, ma non ha potuto togliermi l'amore, che ancora adesso è forte e vivo. L'anima è divenuta leggera, viene portata dal vento in lidi sconosciuti, si posa dolcemente sulle persone care.

Ho imparato a pregare, a chiedere grazia e forza, non per me, ma per persone che stanno attraversando un percorso difficile della loro vita. E' una cosa che mi fa sentire utile, l'amore attraverso una preghiera, un pensiero, un'immagine.

Magari domani mi sentirò forte come un leone, o come dico sempre: “Il leone è ferito ma non è morto”. La forza di volontà non mi manca, la lotta contro il mio corpo è antica, e la porterò avanti fino alla fine.

Buona serata

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

Buonasera gente! stasera mi va di scrivere su un argomento che non interessa a nessuno. E qual'è la novità, mi direte. Avete perfettamente ragione, ma che ci volete fare, mi diverto a dare fastidio alla onesta gente che lavora. Per cui, mettetevi l'anima in pace e sorbitevi questo pippone senza capo né coda. Iniziamo.

Avrete certamente sentito parlare del Fediverso e di Mastodon... come dite? è un qualcosa che si mangia? non lo so se si mangia, c'è gente che riesce a mangiare su qualsivoglia argomento, ma spero almeno che riesca a berci una birra di qualità. Vabbè, dobbiamo iniziare da zero e devo spiegarvi le cose come ad un bambino di 3 anni. Quindi vi racconterò una favola.

C'era una volta un pezzo di legno... no, questo è Pinocchio, ho sbagliato inizio.

C'era una volta un pastore, di quelli classici, con bastone e la giacca di lana, che aveva migliaia... ma che dico milioni... ma che dico miliardi di pecore e pecoroni, ricco come nessun altro pastore al mondo, il quale teneva tutte le pecore sempre chiuse in un recinto. Non le faceva uscire mai e per sfamarle gli portava personalmente l'erba direttamente in bocca. Il pastore era felice e le pecore anche e di più, perché non dovevano fare alcuna fatica per mangiare. Il cibo gli arrivava comodamente nella bocca aperta.

A poca distanza dal recinto del pastore miliardario, ce ne stava un altro, che aveva un recinto ancora più grande e miliardi e miliardi di pecore. Questo secondo pastone, non solo dava il cibo direttamente in bocca, ma si carezzava le pecorelle una ad una, per essere sicuro che fossero felici nel suo recinto e che non venisse a nessuno l'idea di fuggire dal recinto.

Poco più in là, c'era un altro recinto con un altro pastore... e così via, è inutile continuare a descrivere recinti.

Ogni pastore si assicurava che nessuna pecora fuggisse, perché avrete capito che il cibo assicurato ed il benessere venivano compensati con la mancanza di libertà. Infatti le pecore erano prigioniere, felici ma recluse senza possibilità di esplorare il mondo.

Tutto procedeva in modo sereno e tranquillo, quando all'improvviso , un bel giorno, si intravvide all'orizzonte un grosso elefante. Più si avvicinava e più si notava che stava correndo verso i recinti. Insomma, era veramente imbizzarrito (si dice così degli elefanti?). Giunto nella zona dei recinti, iniziò a buttare giù tutto ed a spaventare le pecore le quali, senza più confini, iniziarono a mischiarsi tra di loro.

Ci fu un parapiglia spaventoso, i pastori urlavano, le pecore belavano, l'elefante barriva, tutti gli animali si mischiarono e fu impossibile distinguere di chi erano. Le pecore, vedendosi libere, si organizzarono per famiglie e decisero che mai più avrebbero rinunciato alla loro libertà.

E alla fine vissero tutte felici e contente.

Bene, l'effetto dell'LSD è finito, torniamo di nuovo nel mondo reale.

I recinti con il cibo facile sono i social media centralizzati, dove non dovete fare niente, è la vostra “comfort-zone”, stanno tutti lì e vi sentite amati e coccolati. Ma, ahimè, avete rinunciato alla vostra libertà.

L'elefante imbizzarrito è il Fediverso che vi libera. Una volta fuori, ci si può organizzare in comunità aperte e si può dialogare con tutti, senza recinti e senza catene.

Ebbene si, ero anche io una pecorella, ma nel 2022 decisi di farmi catturare da quest'idea di libertà e mi cancellai da Twitter, seguito a ruota da FB.

Mi feci il mio primo account su una “istanza” (comunità, server, famiglia) italiana e nonostante le difficoltà degli inizi (sembrava che ci fossi solo io là), un poco alla volta trovai persone da seguire e mi feci il mio giro di amicizie.

Ad oggi sono felice della mia scelta, ho scoperto realtà delle quali ignoravo l'esistenza, e persone rispettose e gentili che mai avevo incontrato fino ad ora sui social media centralizzati.

Ma la storia non è finita, vuole essere raccontata anche da voi, da te che leggi, se hai voglia di spezzare le catene e guardare al di là del tuo naso.

Buona serata a tutti

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

Questo era mio padre un uomo che badava all'essenziale che lavorava per la famiglia ed era felice di farlo.

Questo era mio padre, un sarto dal fine talento, capace di scucire un vestito già fatto per un piccolo difetto.

Questo era mio padre, un uomo che faceva della sua fragilità una forza che usava una gamba sola e con quella non ci ha fatto mancare nulla.

Questo era mio padre, anche quando, piangendo, dovevo scappare di casa per qualche ora perché i colloqui a scuola non erano andati molto bene ed avevo paura dei suoi rimproveri.

Questo era mio padre, quando mi trovò un lavoro che a me non piaceva e mi avrebbe portato lontano dalla famiglia.

Aveva ragione mio padre, perché ho trasformato ciò che non mi piaceva in una passione e raddrizzato il sentiero strada facendo.

Questo era mio padre, quando mi dava consigli ormai superflui perché da lui avevo già imparato l'umiltà e l'onestà.

Questo era mio padre, anche quando, testardo, volle provare a camminare per gli ultimi anni della sua vita, ma la vita non gli ricambiò il favore

Questo era mio padre, una canzone napoletana fischiettata durante il lavoro, un sorriso donato agli amici, un faro per la famiglia, con una luce che non si spegnerà mai più.

Grazie di tutto papà.

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

Ci sono tanti significati per l'amore, sono tutti diversi e forse tutti esatti. Per me l'amore è prendersi cura della persona amata, accettando le sue fragilità e camminando insieme a lei soprattutto nei momenti bui. E' facile amarsi quando va tutto bene, più difficile voler bene quando le cose vanno a rotoli, quando la vita ci pone di fronte a problemi apparentemente insormontabili.

A volte basta solo esserci, non c'è bisogno di fare atti eroici, di fare grandi cose. Farsi sentire accanto, con il cuore ed il pensiero prima che col fisico.

Ecco, l'amore vero si vede nelle tempeste e mai nella bonaccia.

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host

In questo “diario di bordo” dove descrivo un pò gli episodi della mia vita ed i pensieri, non ho mai scritto del mio lavoro. E' un lavoro difficile da comprendere per la maggior parte delle persone. E' uno di quei lavori che fanno funzionare le cose che si usano tutti i giorni, ma che non fa nascere mai la domanda “come fanno a funzionare queste cose?”, almeno fintanto che funzionano. Ci si accorge che c'è qualcuno che le cura, solo quando non funzionano.

L'amore per il proprio lavoro è una condizione felice e maledetta. Penso che solo una minima parte dei lavoratori abbia a cuore il proprio lavoro, altrimenti non si spiegherebbero la disorganizzazione, i ritardi, gli errori ed altre amenità che affliggono la pubblica amministrazione ed il mondo del lavoro in generale. Ovviamente ci sono anche altre cause, ma non è possibile descriverle tutte altrimenti c'è da farne un libro in 7 tomi.

Ma veniamo a me.

Non ho deciso io di vestire una divisa, ma fu mio padre a fare domanda per me, visto i deludenti risultati dell'università. In tutta sincerità, era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Ma con la sicurezza che non mi avrebbero mai preso, lasciai andare la cosa. Invece, come spesso succede, quando fai una cosa sicuro che non andrà in porto, la legge di “Murphy” fa succedere il contrario. Riuscii ad entrare nell'Esercito e, dopo tre mesi della cosiddetta “naia”, dove vissi il peggio del peggio della mia vita militare, andai a fare il corso per diventare Sottufficiale.

Il servizio militare obbligatorio, la famosa “naia”, richiederebbe un capitolo a parte. Ma parlando di me, diciamo che ho scampato per poco una coltellata o la galera per omicidio.

Al corso mi sforzai di fare il massimo che potevo negli studi e nelle attività fisiche (la mia nota dolente da sempre), spinto dal pensiero che a casa non avevo alternative lavorative valide. Poi come tanti altri, seguirono la specializzazione, il primo reparto operativo lontanissimo da casa e il ritorno a Napoli, nella mia regione.

Per mia fortuna, ero riuscito a ricavarmi il mio spazio con le cose che amavo. L'informatica, i libri, la musica, l'amicizia.

Scartando i libri,che non riesco più a leggere per problemi di vista, le restanti tre cose fanno ancora parte della mia vita e lo saranno fino alla fine.

Amo il mio lavoro, e questo mi aiuta a sopportare molte difficoltà, compreso l'essere incompreso (scusate il gioco di parole). Nella pubblica amministrazione, dove lo stipendio è legato non a quello che fai, ma al tempo che passi chiuso dentro un edificio, ho sempre cercato di “guadagnarmi il pane” facendo per bene il mio lavoro. Purtroppo mio padre mi ha insegnato l'onestà. Dico purtroppo perché vedo i disonesti vivere molto più agiatamente di me e con molti meno pensieri. Ma come si dice “chi nasce tondo non può diventare quadro” ed io non sono capace di forzare la mia natura.

L'amore per il proprio lavoro ti porta anche a spendere soldi per migliorare la condizione di lavoro. E sottolineo questo, perché ci sono persone che starebbero con le mani in mano perché l'azienda non gli fornisce la penna per scrivere.

L'amore per il proprio lavoro ti porta a contribuire con idee nuove per migliorare le condizioni della tua azienda, anche se ogni volta vengono ignorate.

L'amore per il proprio lavoro ti porta a costruire sistemi e procedure che funzionano, relazioni serene con i colleghi, rapporti di stima con i capi. Ti porta a voler trasmettere le tue conoscenze anche agli altri, senza gelosie e senza vanità, semplicemente perché ami ciò che fai, ci metti cura nel farlo, ci metti passione nel trasmetterle, desideri che le cose funzionino e vuoi dare un senso alla tua giornata, anche se sai che la paga sarà la stessa del tuo collega che passa il tempo senza fare nulla.

Amo il mio lavoro e per esso ho sopportato anche soprusi, invidie, gelosie, diffamazioni e attacchi personali. Ho lasciato passare senza reagire anche offese personali, facendo violenza a me stesso.

Adesso, con il peso degli anni e delle difficoltà che ancora mi attanagliano il corpo e l'anima, ho imparato ad usare l'ironia. Ho dato tanto al mio lavoro che se anche adesso mi mettessero a contare i piccioni in piazza del Duomo ci andrei senza protestare. Quello che ho fatto ho cercato di farlo sempre nel migliore dei modi per lasciare il mondo un pò migliore di come l'ho trovato.

Per commenti: @signoredibaux@snowfan.masto.host