Cosa resta di me

“Cosa resta di me, quando il giorno va via,

che cosa potrò dare io con queste mani vuote?”

(Cosa resta di me – Gen Rosso)

Ci sono poche foto di quando ero bambina, precisamente solo due. Una in braccio a mia madre, che nemmeno sono sicura di essere io oppure uno dei miei fratelli, e una vicino ad un divano, che avrò avuto 7 anni.

La mia infanzia è scivolata via tra un ceffone di mio padre, perché non riuscivo ad imparare le tabelline, e un pranzo di mia madre. Avevo un carattere taciturno, avevo paura di tutto, ero timida. La mia timidezza raggiungeva livelli assurdi, fino ad impedirmi di comprare un gelato per paura di fare brutte figure col barista. Ho sempre saputo di essere diversa, non riuscivo a capire il perché ed in che cosa ero diversa.

Avevo periodi di chiusure in me stessa, dove immaginavo di essere prigioniera, immaginavo di essere rifiutata dalla società, di essere messa al bando, di vivere da sola. Mi perdevo nelle mie fantasie mentali, tutto mi sembrava banale, qualunque gioco, qualunque attività. A scuola mi fermavo a pensare, quasi in trance, la maestra spiegava la matematica e io pensavo ad altro.

Crescendo la mia diversità diventò per me un problema. Il primo amore fu una ragazza dai capelli rossi, alle scuole medie, della quale non ricordo il nome ma ricordo benissimo il sorriso. Me ne innamorai perdutamente, fino ad immaginare di essere in fin di vita e lei mi veniva a trovare sul letto di morte. La mia timidezza mi bloccava, ed ero sicuro di essere rifiutato. Ho sempre avuto molto più amore da dare rispetto a chi mi stava vicino. La mia anima era una farfalla, mentre io ero solo un ragazzo coi brufoli, bruttino e impacciato.

Nelle sere d'Inverno, quando la famiglia si sedeva a tavola per la cena, avevo sempre l'impressione che mancasse qualcuno. Eravamo tutti presenti, ma la sensazione di assenza mi assaliva ogni volta più forte. Crescendo iniziai a pensare che forse era il fantasma di una sorella morta durante il parto. All'epoca tanti bambini morivano poco dopo essere nati. Il cimitero del mio paese è pieno di queste tombe, antiche, con foto di neonati e bambini.

Non osavo chiederlo a mia madre, tanto non me lo avrebbe detto. Lei era ed è ancora concinta che ai figli non bisogna dire certe verità, pensiero ereditato da sua madre. Non si poteva ridere per troppo tempo, non si poteva parlare di un'infinità di argomenti. Tutto era un segreto e non si doveva sapere.

Le superiori furono per me un'agonia. Mio padre volle iscrivermi per forza in una scuola impegnativa, una scuola che era al di sopra delle mie capacità di concentrazione e di memoria. Cercai di fare quello che potevo, piangendo sui libri, studiando cose che non mi entravano in testa, imparando a memoria argomenti che il giorno dopo avrei completamente dimenticato. Anche là la mia timidezza mi impedì di avere una vita sentimentale.

La superficialità dei miei compagni ed il timore di essere deriso mi impedì di approcciare qualunque ragazza. Fu allora che capii che mai nessuna ragazza si sarebbe interessata a me. Non avevo bellezza, né simpatia, né iniziativa.

“Cosa mai darà forza alla mia voce,

cosa mai darà fiato alla mia corsa,

se non quel pò d'amore

nato dalle mie lacrime”

(Cosa resta di me – Gen Rosso)

Non descrivo tutta la mia vita. Vi basti sapere che riuscii a diplomarmi col minimo dei voti e tentai anche l'università, facoltà di Architettura, che ovviamente abbandonai dopo un anno senza alcun esame fatto. Fu allora che mia madre mi chiese se volevo prendere una qualifica, un diploma che mi desse possibilità lavorative. E così feci il mio primo corso di Informatica, dove trovai la mia dimensione, dove studiavo attentamente ogni cosa. Bevevo le parole del docente come fossero acqua limpida e fresca. Studiavo su libri, su fotocopie, facevo esperimenti, volevo impadronirmi di un mondo che finalmente trovavo interessante.

Vi risparmio il resto, sono sposata, ho un lavoro, ho due figli.

Sono un uomo.

Ad un certo punto della mia vita, come se si aprisse una finestra, capii chi era quella mancanza che sentivo da piccola. Ero io. Era la donna che c'era in me. Perché ho due anime, una maschile e una femminile. Mi sembrava di impazzire eppure la spiegazione di molte cose della mia vita è semplicemente questa: le vivevo come una donna.

Fu così che decisi di vivere la mia parte femminile in Second Life, dove nessuno mi conosce, dove posso esprimere la mia femminilità, la mia sensibilità, il mio amore senza alcuna paura.

E sono ancora là, a dare amore ed amicizia, a vivere una vita da donna, virtuale ma intensa.

Forse resterà, alla fine del giorno, solo un briciolo d'amore. Il mondo virtuale è effimero, oggi esiste, domani chissà. Non so dare altro, una goccia d'amore nelle mie mani vuote, mentre il buio cala e le tenebre fanno luccicare quella goccia, per chi la vuole, per chi la vede.

Giada Alessandra Nefertiti Grace