Il Sacrificio

XVIII secolo D.C. – Alta Baviera

Il rumore dei passi del corteo si sentiva solo grazie alle foglie secche. Era ormai autunno, ma il bosco rimaneva comunque fitto di vegetazione, tanto che nemmeno di giorno si sarebbe visto splendere il sole. Erano partiti in piena notte, in silenzio, svegliati con appena un sussurro respirato a malapena nelle orecchie: “E' l'ora” disse l'Abate a Johann. Non c'era da aggiugere altro. Johann era il novizio del convento di Moz, l'unico novizio accolto in decenni di vita del convento. Gli altri monaci, tutti molto in là con gli anni, lo avevano accolto con gioia, e Johann ne era felice perché era condapevole di rappresentare la nuova generazione, la vita che continua, la tradizione che va avanti in un luogo sacro che altrimenti era destinato a finire con la morte di tutti i suoi abitanti.

Johann era stato prelevato in casa, da una delegazione mandata dall'Abate, con grandi sorrisi da parte di sua madre e soprattutto di suo padre, felice di avere una bocca in meno da sfamare, in una famiglia con già cinque figli. Anche Johann era stato felice di entrare in convento. Nessuna chiamata da parte dell'Altissimo, nessuna vocazione, ma il desiderio di avere un pasto caldo tutti i giorni e di vivere in una comunità rispettata da tutto il paese, situata sulla sommità del monte, come una mano potente a dominare tutto quello che c'era in basso, uomini, animali, terre.

Era entrato in monastero, quindi, ben volentieri e non gli pesava la regola ferrea dell'ordine cistercense. Lavorava di gran lena, pregava, rispettava le regole, si alzava prima dell'alba per pregare, in un angolo a parte, come gli altri monaci. Anche le punizioni gli sembravano una passeggiata. Stare delle ore a faccia in giù a pregare, subire frequenti fustigazioni, digiunare per diversi giorni, non erano per lui un problema. A diciassette anni, abituato a stare nelle campagne, aveva il fisico forte e nodoso di un olivo centenario. In lui coesistevano il corpo di un giovane e l'esperienza e la saggezza, mista a rassegnazione, di generazioni di miseri coltivatori, abituati a lavorare come bestie per avere il minimo sostentamento.

Il corteo adesso si stava muovendo in processione, e Johann portava con orgoglio quello scrigno che aveva rappresentato il primo, grosso interrogativo, in una comunità religiosa più o meno uguale a tante altre.

Lo scrigno.

Lo scrigno lui non l'aveva mai visto da vicino, ma solo attraverso una fessura nel legno della porta. Era messo sopra una sorta di altare, in una stanza quasi completamente buia. Johann a volte lo spiava attraverso quella fessura, per cercare di vedere se ci fosse un'incisione, una scritta o qualunque cosa potesse rilelarne il contenuto. Ma non c'era nulla. Era un semplice scrigno di legno, nemmeno lavorato, cosa strana per l'epoca. Ma quella stanza e quello scrigno sembravano avere una grossa importanza per i monaci.

Nessuno ne parlava mai, e alle sue domande rispondevano con uno sguardo severo come a dire: “Non se ne deve parlare”. Ma, il semplice fatto di essere custodito in un convento, significava che quell'oggetto rappresentava un qualcosa di molto prezioso per la religione, quasi un simulacro, o un contenitore per qualche reliquia di qualche Santo.

Ora ce lo aveva tra le mani, ed era orgoglioso di essere stato scelto per quella cerimonia strana e misteriosa, al limite del sogno. Il corteo si fermò. L'Abate, che era in testa, tornò indietro a controllare i monaci uno ad uno, e squadrò Johann dalla testa ai piedi. Fece cenno di mettersi in cerchio, davanti a quella che sembrava una grotta uscita all'improvviso dall'oscurità.

Furono accese delle torce e l'Abate, con un cenno del capo, indicò a Johann di seguirlo.

I due entrarono nella grotta, illuminata dalla torcia retta dalla mano santa dell'Abate. Al centro della grotta, laddove si restringeva, Johann vide una sorta di piccolo altare di pietra, semplice e senza simboli, senza croci o disegni, L'Abate gli fece segno di mettere lo scrigno sull'altare. Poi parlò: “Inginocchiati davanti a questo altare e inizia a pregare. Noi pregheremo là, all'imbocco della grotta. Non fermarti fino a quando non sarai chiamato. Questo è un grande onore per te, ricordalo sempre”.

Johann fece un cenno con la testa, poi si inginocchiò rivolgendo gli occhi allo scrigno e la schiena all'entrata, e iniziò a pregare. L'Abate si allontanò, insieme alla luce della torcia e al rumore dei suoi passi. Johann sentiva le voci mormoranti del monaci all'esterno che pregavano, prima sussurrando, poi a voce alta, accompagnata a volte da un rumore sordo... tumm..., tumm..., tumm.... Fino a quando non li sentì più.

Stette lì a pregare per diverse ore poi, ormai sfinito, iniziò a guardare dietro le sue spalle. Ma la grotta era completamente buia. Prese coraggio e si alzò, camminando alla cieca raggiunse quella che doveva essere l'entrata della grotta, ma le sue mani toccarono solo roccia.

“Fratelli” iniziò a chiamare, prima sussurrando, poi con tono più alto, e infine gridando. “Fratelli !...”. “Fratelliiiii !!!”. Nessuna risposta.

Il suo stomaco gli diceva che ormai dveva essere quasi giorno la grotta era completamente buia. Iniziò a tastare tutto intorno, trovando solo rocce e terreno. Come era possibile. La sua mente si rifiutava di realizzare cosa fosse successo. Continuò a raschiare e scavare, fino a farsi sanguinare le mani, e la sua rabbia finalmente illuminò i suoi pensieri.

Era stato sepolto vivo

La sua devozione per quello che rappresentava il convento, per la religione. Il suo rispetto per l'autorità e per la saggezza dell'Abate lo lasciavano in preda allo stupore. Come era possibile. Come poteva accadere che degli uomini di Chiesa, che professano a tutto il mondo il comandamento “Non uccidere”, avessero deliberatamente deciso di lasciar morire un ragazzo dentro una grotta.

Rifece decine di volte il giro, tastando e cercando di spostare le pietre, riuscendo a smuoverne solamente una, a ricavare una fessura da dove entrò una lama di luce ed un soffio d'aria. Il panico per un momento lo abbandonò, lasciando il posto ad una piccola speranza, ma era una speranza vana. Le pietre erano troppo grandi ed incastrate quasi alla perfezione. Non ce l'avrebbe mai fatta ad uscire di lì.

La disperazione

Johann aveva perduto in poche ore tutto il rispetto per la sacralità, la religione e l'autorità. Voleva vedere cosa c'era nello scrigno. Se era deciso che doveva morire, almeno voleva sapere in nome di cosa.

Facendosi strada nell'oscurità, trovò l'altare e lo scrigno appoggiato sulla nuda pietra. Era furioso. Cercò di aprirlo usando solo le mani, senza risultato. Allora, procedendo a tentoni, trovò una pietra adatta e iniziò a battere sulla chiusura in metallo. Più batteva e più la sua rabbia aumentava, mentre lo scrigno restava chiuso, sigillato.

Johann allora perse del tutto il controllo, afferrò lo scrigno con tutte e due le mani e lo scaraventò violentemente, più volte contro la parete. “Apriti maledetto” gridava sudando, “apriti maledetto pezzo di legno mandato dal diavolo”. Alla fine lo sbattè con tutta la sua forza di ragazzo contro uno spuntone di pietra e lo sentì andare in mille pezzi.

Solo allora Johann si rese conto dell'enorme errore che aveva commesso. Nell'oscurità non avrebbe mai più trovato il contenuto dello scrigno, scagliato chissà dove. La rabbia per l'errore commesso e la sua situazione senza uscita lo fecero cadere in ginocchio, in un pianto disperato, che copriva la fame e la sete, il dolore delle mani sanguinanti e delle schegge di legno nelle dita.

Rimase accasciato a terra per un tempo indefinito.

Alla fine si addormentò. Nel suo sonno tormentato, vide orde di diavoli che lo venivano a prendere, che lo trascinavano verso il fuoco... “no... nooooo... noooooo !!!” gridava nel sonno, contro quelle bestie di Satana che volevano arderlo vivo. Alla fine si ritrovò nel fuoco, il suo corpo che bruciava... “Maledetti !!!” urlava sempre più forte, fino a quando tutto finì.

Si ritrovò nella casa paterna, bambino ai piedi della sedia della nonna, che ricamava tranquillamente. Lei gli fece un sorriso. Lui domandava: “Nonna, ma come fai a fare quei disegni così belli? non è difficile?”. “Certo che è difficile”, gli rispondeva l'anziana donna. “E allora come fai? io voglio saperlo”. “E' molto semplice, ragazzo mio.” ribatteva la nonna sorridendo “Un punto alla volta. Non pretendere di fare il disegno tutto insieme, ci vuole pazienza, un punto alla volta”.

Johann si svegliò di soprassalto, sentendo la stanchezza e tutto il dolore delle ferite. Il pianto ed il sogno lo avevano rinfrancato.

“Un punto alla volta”. Capì che la sua disperazione lo aveva fatto comportare come un animale in gabbia. Ma lui non era un animale. Capì come doveva procedere. Iniziò a tastare le rocce una ad una, fino a quando ne trovò una che si muoveva. Iniziò a smuoverla e poi man mano a smuovere quelle che non erano bloccate. Si accorse che la parete non era poi tanto impenetrabile. Con pazienza, una alla volta, dopo il lavoro di ore, riuscì a smuovere abbastanza roccia da aprire un varco appena sufficiente da passarci attraverso. Il sole era ormai alto e la luce filtrava dal buco illuminando la caverna. Johann, prima di uscire, voleva trovare il contenuto dello scrigno.

Perlustrò tutta la caverna, senza risultato. Solo rocce e frammenti di legno.

Lo scrigno era vuoto. Era stato vuoto per tutti quegli anni.

Una risata amara gli salì dal ventre. Si guardò le mani sanguinanti, guardò per l'ultima volta l'interno della caverna, e si infilò nell'uscita.

Trecento anni dopo

Lo speleologo Meyer aveva fatto delle ricerche minuziose. Aveva chiesto informazioni agli abitanti del paese e aveva chiesto anche ai monaci del convento. Ma questi ultimi non avevavo voluto parlarne. Sembrava che quella grotta, scomparsa da centinaia di anni, portasse con sè un'aura maledetta. Queste erano le storie che piacevano a Meyer. E finalmente l'aveva trovata. Organizzò la zona di scavo, secondo tutte le norme di sicurezza vigenti, e diede il via alla rimozione delle pietre. Fu un lavoro lungo e faticoso, ma alla fine riuscirono ad aprire un varco abbastanza ampio da passarci comodamente. Meyer fu il primo ad entrarci e con l'aiuto di una torcia esplorò la grotta tutt'intorno.

Al centro della grotta c'era un altare in pietra, con uno scrigno di legno poggiato sopra. In un angolo, c'era lo scheletro di quello che sarebbe potuto essere un ragazzo di 15-17 anni, vestito con indumenti monacali.

Meyer avanzò e prese lo scrigno. “Questa è la grotta delle sorprese” pensò. Uscì all'aperto con lo scrigno sotto al braccio. “Fate tutti i rilievi, mi raccomando” ordinò al suo staff.

“Tu vieni con me a casa” sussurrò verso lo scrigno. E si avviò sorridendo verso la sua tenda.

Meyer non si accorse che due monaci lo stavano osservando furtivamente da dietro un'altura. “Alla fine lo ha trovato” disse il monaco più giovane. “Con l'aiuto di Dio, fratello, scomparirà di nuovo” disse il monaco anziano. Il monaco giovane pose la mano sulla cassetta di dinamite al loro fianco. “Con l'aiuto di Dio, fratello, con l'aiuto di Dio”.

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